samedi 16 mars 2013

Papa Francesco I, il gesuita temuto dai desaparecidos


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http://www.libreidee.org/2013/03/papa-francesco-i-il-gesuita-temuto-dai-desaparecidos/

Papa Francesco I, il gesuita temuto dai desaparecidos

 

Già all’indomani del conclave che elesse Ratzinger, Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, tra i più votati anche allora, venne accusato di collusione con la dittatura argentina che sterminò novemila persone. Le prove del ruolo giocato da Bergoglio a partire dal 24 marzo 1976, sono racchiuse nel libro “L’isola del Silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina”, del giornalista argentino Horacio Verbitsky. Stella Spinelli, su “Peacereporter”, ne scrisse già all’epoca. Nei primi anni ’70, Bergoglio, 36 anni, gesuita, divenne il più giovane “superiore provinciale” della Compagnia di Gesù in Argentina. Nel febbraio del ‘76, un mese prima del colpo di Stato, Bergoglio chiese a due dei gesuiti impegnati nelle comunità di abbandonare il loro lavoro nelle baraccopoli e di andarsene. Erano Orlando Yorio e Francisco Jalics, che si rifiutarono di andarsene. Verbitsky racconta come Bergoglio reagì con due provvedimenti immediati: li escluse dalla Compagnia di Gesù senza nemmeno informarli, poi fece pressioni all’allora arcivescovo di Buenos Aires per toglier loro l’autorizzazione a dir messa. Pochi giorni dopo il golpe, furono rapiti.
Secondo quanto sostenuto dai due sacerdoti, quella revoca fu il segnale per i militari, il via libera per la strage. Per i due si spalancò per sei mesi l’orrore Bergogliodella Scuola di meccanica della marina (Esma), poi furono rilasciati, grazie alle pressioni del Vaticano. In quella scuola, in quei giorni, il Nunzio apostolico Pio Laghi giocava a tennis con i capi dei torturatori come hanno più volte denunciato le Madres de la Plaza de Mayo. Bergoglio si difese spiegando che la richiesta di lasciare la baraccopoli era un modo per metterli in guardia ma, dagli archivi del ministero degli Esteri, sono emersi documenti che confermano la versione dei due sacerdoti.
Nel 1979 padre Francisco Jalics si era rifugiato in Germania, da dove chiese il rinnovo del passaporto per evitare di rimetter piede nell’Argentina delle torture. Bergoglio si offrì di fare da intermediario, fingendo di perorare la causa del padre: invece l’istanza fu respinta. Nella nota apposta sulla documentazione dal direttore dell’Ufficio del culto cattolico, allora organismo del ministero degli Esteri, c’è scritto: «Questo prete è un sovversivo. Ha avuto problemi con i suoi superiori ed è stato detenuto Pio Laghinell’Esma». La fonte di queste informazioni su Jalics era proprio il Superiore provinciale, Bergoglio.
In un altro documento si dice che «nonostante la buona volontà di padre Bergoglio, la Compagnia Argentina non ha fatto pulizia al suo interno. I gesuiti furbi per qualche tempo sono rimasti in disparte, ma adesso con gran sostegno dall’esterno di certi vescovi terzomondisti hanno cominciato una nuova fase» (Direzione del culto, raccoglitore 9, schedario B2B, Arcivescovado di Buenos Aires, documento 9). «Non ebbi mai modo di etichettarli come guerriglieri o comunisti – dichiarò il futuro papa a Verbitsky – tra l’altro perché non ho mai creduto che lo fossero».
Peccato che padre Orlando Yorio, morto nel 2000 in Uruguay e mai ripresosi dalle torture nell’Esma, raccontò il suo arrivo a Roma dopo la partenza dall’Argentina: «Padre Gavigna, segretario generale dei gesuiti, mi aprì gli occhi. Era un colombiano che aveva vissuto in Argentina e mi conosceva bene. Mi riferì che l’ambasciatore argentino presso la Santa Sede lo aveva informato che secondo il governo eravamo stati catturati dalle Horacio Verbitskyforze armate perché i nostri superiori ecclesiastici lo avevano informato che almeno uno di noi era un guerrigliero. Chiesi a Gavigna di mettermelo per iscritto e lo fece».
Bergoglio, durante la dittatura militare, era nella Guardia di Ferro, un’organizzazione delladestra peronista, che ha lo stesso nome di una formazione rumena nazistoide, quelli di Codreanu. «Io non conosco casi moderni di vescovi che abbiano avuto una partecipazionepolitica così esplicita come è stata quella di Bergoglio», scrisse Verbitsky. «Lui agisce con il tipico stile di un politico. È in relazione costante con il mondo politico, ha persino incontri costanti con ministri del governo». Da presidente dei vescovi argentini, molti anni dopo, Bergoglio ha spinto la Chiesa argentina a pubblicare una sorta di mea culpa in occasione del 30esimo anniversario del colpo di Stato, nel 2006. “Ricordare il passato per costruire saggiamente il presente” era il titolo della missiva apostolica.
(Checchino Antonini, “Francesco I, il gesuita temuto dai desaparecidos”, dal blog “Popoff” del 14 marzo 2013).