Fare la predica ai cattivi, con un unico obiettivo:
evitare che i buoni si ribellino davvero. «Quando celebrerà la sua prima
messa in una via di Trastevere o nella stazione Termini di Roma, e
parlerà delle persone sfruttate dagli insensibili che hanno chiuso il
loro cuore a Cristo», avverte Horacio Verbitsky, «ci sarà chi si
dichiarerà entusiasta del tanto invocato rinnovamento ecclesiastico». Ma
guai a lasciarsi fuorviare dalle parole di un “professionista”
consumato come Jorge Bergoglio, ammonisce il prestigioso giornalista
argentino, grande accusatore del nuovo pontefice «populista e
conservatore», pronto a soccorrere i poveri solo dopo aver fatto terra
bruciata attorno ai veri difensori del popolo, civili e religiosi. Il
copione del film è già scritto: «I giornalisti amici racconteranno che
ha viaggiato in metro o in bus», e i fedeli «ascolteranno le sue omelie
recitate con i gesti di un attore nelle quali le parabole bibliche
coesisteranno con la parola chiara del popolo». Tutto questo, mentre le
redazioni di Buenos Aires vengono tempestate di telefonate: i parenti
dei desaparecidos sono indignati, addolorati, amareggiati.
«Tra le centinaia di chiamate e e-mail ricevute», scrive Verbitsky su “Página 12”, quotidiano argentino vicino al governo democratico di Cristina Kirchner,
il giornalista ne sceglie una, quella di Graciela, la sorella del
sacerdote gesuita Orlando Yorio, che sostenne di esser stato
“consegnato” da Bergoglio nelle mani dei torturatori dell’Esma, la
famigerata scuola della marina trasformata in lager per dissidenti. «Non
posso crederci», dice Graciela Yorio, subito dopo la fatidica fumata
bianca in piazza San Pietro. «Sono cosi sconvolta e arrabbiata, che non
so cosa fare». Bergoglio? «Ha ottenuto quello che voleva». Suo fratello
l’aveva avvertita: «Vuole diventare Papa: è la persona più indicata per
coprire il marciume, è un esperto nel dissimulare». Piange, al telefono,
anche il fratello del religioso perseguitato, Alfonso, detto “Fito”.
Una vita intera dedicata a difendere la memoria di Orlando, che denunciò
Bergoglio come responsabile del suo rapimento e delle torture che patì
per 5 mesi, nel 1976. L’incubo di padre Yorio adesso è diventato realtà:
è diventato Papa, per giunta col nome di Francesco d’Assisi, l’uomo che
non è ancora riuscito ad archiviare in modo convincente le ombre del
passato.
Un disinvolto uomo di potere,
lo accusa Verbitsky, pronto anche a resistere ai tribunali impegnati a
ricostruire la tragedia argentina: davanti al Tribunal Oral Federal 5,
scrive il giornalista su “Página 12”, Bergoglio sostenne che era venuto a
conoscenza solo recentemente, cioè dopo la dittatura, del caso dei
bambini scomparsi, sottratti ai genitori sequestrati e poi fatti
sparire. Peccato però che il Tribunal Oral Federal 6, che ha giudicato
il piano sistematico di appropriazione di figli dei
detenuti-desaparecidos, avesse ricevuto documenti imbarazzanti per il
nuovo Papa: quel tribunale, scrive Verbitsky, provò che «già dal 1979
Bergoglio era consapevole della situazione», tant’è vero che – almeno in
un caso, su sollecitazione del suo superiore, il capo dei gesuiti Pedro
Arrupe – intervenne in modo attivo nella vicenda. «Dopo aver ascoltato
il racconto dei familiari di Elena de la Cuadra, sequestrata nel 1977,
al quinto mese di gravidanza, Bergoglio avrebbe consegnato un documento
al vescovo ausiliare di La Plata, Mario Picchi, chiedendogli di
intercedere presso il governo militare». Picchi scoprì che Elena aveva
dato alla luce una bambina, poi affidata ad altri. «Si trova presso una famiglia per bene e non tornerà indietro», avrebbe comunicato Bergoglio ai parenti della madre “desaparecida”.
Nel processo sul sequestro dei gesuiti Orlando Yorio e Francisco
Jaclis, continua Verbitsky, Bergoglio arrivò a dichiarare per iscritto
che nell’archivio episcopale non c’erano documenti sui detenuti
scomparsi. A smentirlo ha provveduto il nuovo direttore dell’archivio,
José Arancedo, che «inviò al giudice Martina Forns una copia del
documento sull’incontro del dittatore Videla con i vescovi Raúl
Primatesta, Juan Aramburu e Vicente Zazpe», nel quale «fu discusso con
straordinaria franchezza su cosa si doveva dire e cosa non dire sui
detenuti scomparsi, che erano stati assassinati, dal momento che Videla
voleva proteggere chi li aveva uccisi». Nel suo libro “Chiesa e
dittatura”, Emilio Mignone indica Bergoglio come esempio di un pastore
che, anziché difenderle, consegna le pecore al lupo. «Bergoglio –
aggiunge Horacio Verbitsky – mi raccontò che, in una delle sue prime
messe da arcivescovo, cercò di avvicinare Mignone per dargli
spiegazioni, ma il presidente fondatore del Cels alzò la mano
indicandogli di fermarsi».
E ora? «Non sono sicuro che Bergoglio sia stato eletto per coprire il
marciume che ha ridotto all’impotenza Joseph Ratzinger», scrive
Verbitsky su “Página 12”. «Le lotte interne della curia romana seguono
una logica così imperscrutabile che i fatti più oscuri sono in genere
attribuiti allo spirito santo, sia che si tratti delle manovre
finanziarie per le quali lo Ior è stato escluso dal meccanismo del clearing
internazionale, dal momento che non ottempera alle normative per il
controllo del riciclaggio del denaro, sia che si tratti dei casi di
pedofilia che si sono verificati a livello mondiale e per i quali
Ratzinger ha chiesto perdono in quanto massimo rappresentante della
Chiesa cattolica. Non mi sorprenderebbe che Bergoglio, con il pennello
in mano, iniziasse una crociata moralizzatrice per imbiancare i sepolcri
degli apostoli». Quello di cui invece Verbitsky si dichiara sicuro è
che il nuovo vescovo
di Roma sarà semplicemente «un surrogato, un succedaneo di scarsa
qualità», come quelli che le madri indigenti utilizzano «per ingannare
la fame dei propri figli».
Il brasiliano Leonardo Boff, escluso dal sacerdozio da Ratzinger in
quanto fondatore della “teologia della liberazione”, che impegna la
Chiesa a schierarsi con decisione dalla parte degli ultimi e contro il potere
che li opprime, coltivava la speranza che sarebbe stato eletto Papa un
francescano vero, l’americano di origine irlandese Sean O’Malley, che
regge la diocesi di Boston, piegata dai tanti indennizzi pagati a
bambini molestati dai sacerdoti. «Si tratta di una persona molto legata
ai poveri, avendo lavorato molto nei Caraibi e in America Latina, sempre
a contatto con gli umili», sostiene Boff. La sua elezione sarebbe stato
«un segnale di quello che potrebbe essere un Papa davvero nuovo, un
Papa di una nuova tradizione». Invece, sul trono di Pietro ora siede un
gesuita che si fa chiamare Francesco, come il santo di Assisi,
nonostante la sua reale biografia tracci il profilo di «un populista
conservatore, come lo sono stati Pio XII e Giovanni Paolo II»,
assolutamente «inflessibili sulle questioni dottrinali», nonostante
l’apertura verso il mondo e l’attenzione – esibita e spettacolare – verso le masse dei diseredati.
Nei tre lustri durante i quali è stato a capo dell’arcidiocesi di
Buenos Aires, sostiene Verbitsky, monsignor Bergoglio si è mosso
innanzitutto da politico, unificando l’opposizione contro il primo, vero
governo democratico e popolare dell’Argentina post-dittatura. «Adesso
potrà farlo su un’altra scala, ma questo non implica che si lascerà
l’Argentina alle spalle», aggiunge Verbitsky. «Se Papa Pacelli ricevette
finanziamenti dalla Cia per sostenere la Democrazia Cristiana e impedire la vittoria comunista alle prime elezioni
italiane del dopoguerra, e se Wojtyla fu l’ariete che aprì il primo
spiraglio nel Muro di Berlino, il Papa argentino potrà giocare lo stesso
ruolo nel mondo latinoamericano». Parlano da soli «i suoi trascorsi
nella Guardia de Hierro», il settore giovanile del peronismo di destra,
che ancora oggi rivendica il diritto argentino sulle isole
Malvine-Falkland. Battaglie, conclude “Página 12”, che potrebbero
consentire a Bergoglio di proseguire lungo la sua tradizionale e ambigua
linea politica: «Apostrofare gli sfruttatori e predicare mansuetudine presso gli sfruttati».