BASILICATA: SEGRETI E PERICOLI DEL NUCLEARE ITALIANO (1)
di Gianni Lannes
Nel profondo Sud, in Lucania, c’è un luogo chiamato Trisaia (tre aie) su un’altura che sovrasta il fiume Sinni, ad un soffio dal Mar Jonio, dove in un tempo antico si ripulivano le spighe di grano, sfruttando l'azione del vento. Il posto limita il confine amministrativo tra Basilicata e Calabria. Percorrendo la statale 106, ad una manciata di minuti dai paesi di Policoro e Nova Siri, appare quello che non t’aspetti: un centro nucleare, in un’area densamente abitata e coltivata dai contadini. Poco più a nord emergono le miniere di salgemma: qui c’è il Terzo Cavone nell’agro di Scanzano Jonico, dove il 13 novembre 2003, con tanto di decreto legge numero 314, il Governo Berlusconi, per mano del generale Carlo Jean - nominatocommissario straordinario per l’emergenza nucleare, calpestando i crismi della legalità e della trasparenza - intendeva realizzare il deposito unico nazionale per i rifiuti atomici. Non più mare, agricoltura a misura umana e pesca, ma scorie radioattive da nascondere nel sottosuolo. La gente di Lucania si ribellò in massa ed il governo del massone deviato, in affari con Cosa Nostra (tessera P 2 numero 1816) fu costretto a rimangiarsi in un solo boccone avvelenato quell’insana decisione.
Tomba atomica - Il popolo tricolore non sa. 40 anni fa lo Stato italiano ha realizzato in Lucania il primo cimitero nucleare, scavando semplicemente delle fosse nella nuda terra e distruggendo per sempre una mirabile area archeologica. I vari governi del Belpaese - pilotati dall'alleato USA - senza informare nessuno, né gli enti locali né tantomeno la popolazione civile, in maniera decisamente criminale, calpestando leggi e normative di sicurezza, allestirono la prima tomba a cielo aperto degli scarti dell'atomo letale.
Passano i decenni e si fa sempre finta di niente. Questa zona in riva al Golfo di Taranto (su cui lo Stato in barba al buon senso, ha recentemente rilasciato autorizzazioni per trivellare idrocarburi a tutto spiano) - come ben sanno tutte le autorità istituzionali e sanitarie a livello nazionale, regionale e provinciale - è contaminata anche a seguito di esperimenti e svariati incidenti di cui non è mai stata notiziata né la Prefettura di Matera né l'Autorità Giudiziaria. Soltanto in seguito ad una circostanziata denuncia di un medico, il dottor Morano, decollarono le indagini, grazie soprattutto alla determinazione di un giudice autoctono, Nicola Maria Pace (scomparso prematuramente). Accanto al giudice c'era Angelo Chimienti (anche lui morto improvvisamente) che più di tutti e prima di tutti ha denunciato e documentato questa barbarie.
Come sostiene il medico Agnesina Pozzi "in Basilicata è possibile fare impunemente quello che altrove, non è nemmeno proponibile". Argomentazioni pienamente condivisibili, riscontrate dai fatti.
Tomba atomica - Il popolo tricolore non sa. 40 anni fa lo Stato italiano ha realizzato in Lucania il primo cimitero nucleare, scavando semplicemente delle fosse nella nuda terra e distruggendo per sempre una mirabile area archeologica. I vari governi del Belpaese - pilotati dall'alleato USA - senza informare nessuno, né gli enti locali né tantomeno la popolazione civile, in maniera decisamente criminale, calpestando leggi e normative di sicurezza, allestirono la prima tomba a cielo aperto degli scarti dell'atomo letale.
Passano i decenni e si fa sempre finta di niente. Questa zona in riva al Golfo di Taranto (su cui lo Stato in barba al buon senso, ha recentemente rilasciato autorizzazioni per trivellare idrocarburi a tutto spiano) - come ben sanno tutte le autorità istituzionali e sanitarie a livello nazionale, regionale e provinciale - è contaminata anche a seguito di esperimenti e svariati incidenti di cui non è mai stata notiziata né la Prefettura di Matera né l'Autorità Giudiziaria. Soltanto in seguito ad una circostanziata denuncia di un medico, il dottor Morano, decollarono le indagini, grazie soprattutto alla determinazione di un giudice autoctono, Nicola Maria Pace (scomparso prematuramente). Accanto al giudice c'era Angelo Chimienti (anche lui morto improvvisamente) che più di tutti e prima di tutti ha denunciato e documentato questa barbarie.
Come sostiene il medico Agnesina Pozzi "in Basilicata è possibile fare impunemente quello che altrove, non è nemmeno proponibile". Argomentazioni pienamente condivisibili, riscontrate dai fatti.
Itrec: l’acronimo - apparentemente innocuo - sta per Impianto trattamento e rifabbricazione elementi combustibile. Il centro nucleare del Cnen, poi Enea, sorto tra il 1961 ed il 1968, anche su sollecitazione diretta del padrino democristiano Emilio Colombo (assurto alle cronache giudiziarie in anni più recenti per consumo di cocaina in Parlamento - aveva come scopo ufficiale “la dimostrazione della realizzabilità della chiusura del ciclo uranio-torio, mediante il riprocessamento del combustibile irraggiato e fabbricandone del nuovo”. A cavallo tra il 1969 ed il 1971 - ai sensi di un accordo Cnen-Usaec (Commissione USA per l’energia atomica) mai ratificato dal Parlamento italiano - giunsero dagli Stati Uniti d’America ben 84 barre di elementi uranio-torio ad alta attività (ossia di terza categoria, le più pericolose), provenienti dalla centrale Elk River nel Minnesota. Su venti di queste barre fu effettuato il cosiddetto riprocessamento, ma il Governo nordamericano non ha mai accettato di riprendersi quelle avanzate. La sperimentazione durò ufficialmente fino al 2003, quando la Sogin avviò ildecommissioning. Attualmente non esistono impianti al mondo per mettere in sicurezza i 64 elementi di combustibile irraggiato.
Questo “centro di ricerca” nucleare era in realtà un laboratorio segreto di fabbricazione del propellente da cui ricavare plutonio, utile alla costruzione di ordigni atomici. Uno snodo per interessi internazionali ed affari criminali. Tant’è che già negli anni ’70 giungeva in loco dalla Gran Bretagna, spedito dalla British Nuclear Fuels Limited (BNFL), con destinazione sulla carta la centrale atomica di Latina.
carteggio Bnfl e Combustibili nucleari per Trisaia e centrale nucleare di Borgo Sabotino - archivio Lannes |
La centrale nucleare di Borgo Sabotino costruita su impulso dell’Eni, entrò in funzione nel 1963, un anno dopo l’omicidio di Enrico Mattei, dopo un lustro di lavori. Nel 1964 passò all’Enel, e restò in funzione, nonostante incidenti ed interruzioni, fino a tutto il 1986. Questo impianto si avvaleva di un brevetto militare: gas a grafite modello Gcr-Magnox, che assicura una maggior produzione di plutonio. Bastano 6 chilogrammi di plutonio, appunto, per assemblare una potente bomba atomica. Nel 2010 sono entrato in pieno giorno all’interno del sito “protetto e sorvegliato”, con al seguito la scorta di due agenti della Polizia di Stato, segnalando prontamente appena saggiata la vulnerabilità, la situazione ai carabinieri. Ma questa è un’altra storia.
Attorno a quest’area strategica della Basilicata meridionale - una sorta di supermercato nucleare al miglior offerente - sono ruotati affari miliardari e segreti di Stati: Italia, Iraq, USA, Israele, Gran Bretagna, Francia. Un sito atomico dove - secondo le ricostruzioni della magistratura, ad opera soprattutto di un giudice integerrimo, Nicola Maria Pace si sono verificati alcuni gravi incidenti nucleari, nascosti all’opinione pubblica ed alle autorità civili. Tant’è che il 7 aprile 1997, Pace rinviò a giudizio ben 5 dirigenti dell’Enea.
Inondazione nucleare - “Un’inondazione radioattiva potrebbe investire il materano, da un momento all’altro”. L’allarme non è infondato. Il pericolo che incombe a tutt’oggi, sulla Basilicata e le regioni confinanti - Puglia, Calabria e Campania - è legato alla mancata solidificazione - un rigoroso obbligo di legge nazionale ed internazionale - di 2,7 metri cubi di scorie liquide radioattive ad alta attività, custoditi in alcuni serbatoi non più adeguati e sicuri, all’interno del centro ricerche dell’Enea, derivati dal trattamento di 24 elementi di combustibile nucleare irraggiato, provenienti dagli USA. I cinque funzionari dell’Enea che il 18 settembre comparvero dinanzi al pretore di Matera, erano nientedimeno che Giuseppe Lapolla, Giuseppe Lippolis, Franco Pozzi, Silvio Cao e Paolo Venditti, i quali si sono avvicendati quali titolari nella licenza di esercizio dell’impianto atomico.
Nel dettaglio le imputazioni contestate riguardano la mancata realizzazione di un sistema di sicurezza per la solidificazione dei rifiuti liquidi ad alta attività alla Trisaia (che sarebbe dovuta avvenire entro il 1980, data poi più volte illegalmente prorogata dalle autorità di Stato), la mancata segnalazione alla prefettura materana di due incidenti avvenuti nel centro nel 1993 e nel 1994, lo smaltimento abusivo alla Trisaia di rifiuti nucleari. Sempre secondo l’accusa giudiziaria, la mancata solidificazione dei rifiuti liquidi di terza categoria, unitamente allo stato di degrado dei serbatoi di contenimento, avrebbero determinato condizioni di grave rischio tali da far temere il pericolo, tuttora non scongiurato, di un’inondazione radioattiva con gravi conseguenze per le popolazioni e l’ambiente.
Epilogo. Nel novembre 2001 la Corte d’Appello del Tribunale di Salerno ha infine condannato Giuseppe Lippolis, ingegnere dell’Enea, a 15 giorni di prigione. E’ stato l’ultimo atto di una vicenda giudiziaria, perché Lippolis è l’unico a riportare una condanna penale. Definitiva, poiché la condanna della Corte d’Appello è il quarto verdetto, ed è intervenuta dopo una revisione processuale imposta dalla Cassazione.
Le documentate e salienti indagini dirette dal pm Pace si sono svolte in collegamento con la Procura Circondariale di Reggio Calabria (il pmFrancesco Neri ed il consulente della Marina militare, Natale De Grazia, assassinato il 12 dicembre 1995 (come ha attestato inequivocabilmente l’ultima e recente analisi autoptica). L’ufficiale della Guardia Costiera stava indagando su 180 affondamenti sospetti). Quando nel 2005 intervistai - per conto del settimanale Famiglia Cristiana - a Trieste (allora il dottor Pace, allora a capo della Procura della Repubblica) mi rivelò che De Grazia l’aveva chiamato la mattina del 12 dicembre ’95 per comunicargli di aver individuato la zona di affondamento di nave Rigel (imbottita di scorie radioattive) e che di rientro dalla missione a La Spezia, sarebbero andati insieme in mare al largo di Capo Spartivento.
Nel corso dell’inchiesta il giudice Pace ha raccolto elementi probanti sullastrage di Ustica, portati all’attenzione dell’Ufficio istruzione di Roma e su un traffico internazionale per l’occultamento di scorie nucleari che ha determinato l’affondamento nel Mediterraneo di navi cariche di sostanze radioattive. Oggi, tutta la documentazione giudiziaria è sottoposta, inspiegabilmente, a segreto di Stato.
Un mistero di carta - Nel dicembre 2009 la Procura di Potenza, vale a dire il giudice per le indagini preliminari Gerardina Romaniello, su richiesta del pm Francesco Basentini, archivia incredibilmente l’ultima inchiesta sulla Trisaia sottolineando però di aver evidenziato «la sua indiscutibile e oggettiva gravità sotto il profilo della sicurezza pubblica in generale».
Il dottor Pace aveva scoperto che nel sito di ricerca atomica della Trisaia non esisteva l’obbligatorio registro contabile nucleare. Il documento ha una particolare importanza perché è soggetto ad una vigilanza dell’Aiea, l’ente internazionale che controlla il rispetto dei trattati di non proliferazione delle armi nucleari, e quindi anche dei materiali e delle sostanze di interesse strategico-militare.
Il 20 gennaio 2010 - per l’ennesima volta - il magistrato Nicola Maria Pace(all’epoca procuratore della Repubblica a Brescia) rivela in audizione dinanzi alla Commissione bicamerale presieduta da Gaetano Pecorella (coinvolto nel 2010 con il suo studio legale di Milano nella difesa di importatori israeliani di rifiuti radioattivi nel porto di Ravenna) un dettaglio significativo.
Vale a dire: «Nel centro (Itrec, ndr) non c’era un giornale di bordo, ma emergeva chiaramente da una serie di elementi, tra cui uno molto significativo, anche se non testuale, non elemento di prova diretta, fu un colloquio con un personaggio straordinario, il professor Adamesteanu, grande archeologo che ha dedicato la sua esistenza alla ricerca archeologica in Basilicata. Mi rivolsi a lui per sapere chi potesse darmi indicazioni sui cosiddetti siloi, strutture risalenti al IV secolo avanti Cristo scavate dall’uomo nell’area portuale del Sinni, in cui poi si posizionerà il centro Enea di Rotondella. Rimasi colpito dalla pagina 71 di un libretto nel quale compariva un siloi e si riportava la foto di un contenitore di materiale radioattivo calato nel siloi con la dicitura, che mi risultò disgustosa: “Così isiloi sono tornati a svolgere una funzione”. La funzione d contenimento dei cereali scambiati nell’area portuale del fiume Sinni Veniva sostituita da una funzione di discarica, di contenimento dei rifiuti. Non ebbi la possibilità di sostenere l’accusa in dibattimento nel processo nei confronti dei responsabili dell’Enea, ma avevo sempre pensato che avrei cominciato da pagina 71 di quel libro per evidenziare il livello di sottocultura nella gestione della materia, nel trattare anche il retroterra storico-culturale della regione. Mi rivolsi al professore per sapere chi potesse fornirci indicazioni per scoprire questi siloi e avere la prova dell’persistenza di materiali in queste buche. Nella sua piccola, casa di campagna, con il candore dell’uomo di scienza dichiarò di non essersene mai occupato ma di conoscere una persona che ne aveva addirittura tracciato una mappa, avendo scritto un libro sui siloi.Possedevo questo libro, ma un giorno mi fecero visita alcuni iracheni - la mia polizia giudiziaria accertò il luogo dove soggiornassero - e verificai poco dopo che il libro era sparito. Convocai quindi l’autore di quel libro, il professor Quindici, docente di antropologia culturale all’università di Bologna, che peraltro collegai con altre, lontane indagini da me svolte sui Nar (terroristi manovrati dai servizi segreti, ndr) quando ero giudice istruttore a Treviso. Già per telefono gli chiesi se fosse in grado di localizzare i siloi, mi rispose di aver tracciato anche una mappa, per cui accettò di assumere l’incarico di consulente venendo a Matera. Ci incontrammo, al momento dell’incarico trapelò l’obiettivo per cui gli chiedevo di individuare i siloi, la consulenza fu accettata ma non dette alcun esito e mi fu dichiarato che non era stato possibile individuarli».
Sono spariti addirittura 7,3 metri cubi di scorie liquide ad alta attività. Sempre nell'audizione di tre anni fa, il giudice Pace ha specificato: "In partenza i miei dati facevano riferimento a 10 metri cubi, ma nella contabilità si trovarono 2,7 metri cubi. Non ho ragione di contestare il dato, ma so che i primi elementi investigativi facevano rferimento a un quantitativo di rifiuti della peggior specie nell'ordine di 10 metri cubi".
Vale a dire: «Nel centro (Itrec, ndr) non c’era un giornale di bordo, ma emergeva chiaramente da una serie di elementi, tra cui uno molto significativo, anche se non testuale, non elemento di prova diretta, fu un colloquio con un personaggio straordinario, il professor Adamesteanu, grande archeologo che ha dedicato la sua esistenza alla ricerca archeologica in Basilicata. Mi rivolsi a lui per sapere chi potesse darmi indicazioni sui cosiddetti siloi, strutture risalenti al IV secolo avanti Cristo scavate dall’uomo nell’area portuale del Sinni, in cui poi si posizionerà il centro Enea di Rotondella. Rimasi colpito dalla pagina 71 di un libretto nel quale compariva un siloi e si riportava la foto di un contenitore di materiale radioattivo calato nel siloi con la dicitura, che mi risultò disgustosa: “Così isiloi sono tornati a svolgere una funzione”. La funzione d contenimento dei cereali scambiati nell’area portuale del fiume Sinni Veniva sostituita da una funzione di discarica, di contenimento dei rifiuti. Non ebbi la possibilità di sostenere l’accusa in dibattimento nel processo nei confronti dei responsabili dell’Enea, ma avevo sempre pensato che avrei cominciato da pagina 71 di quel libro per evidenziare il livello di sottocultura nella gestione della materia, nel trattare anche il retroterra storico-culturale della regione. Mi rivolsi al professore per sapere chi potesse fornirci indicazioni per scoprire questi siloi e avere la prova dell’persistenza di materiali in queste buche. Nella sua piccola, casa di campagna, con il candore dell’uomo di scienza dichiarò di non essersene mai occupato ma di conoscere una persona che ne aveva addirittura tracciato una mappa, avendo scritto un libro sui siloi.Possedevo questo libro, ma un giorno mi fecero visita alcuni iracheni - la mia polizia giudiziaria accertò il luogo dove soggiornassero - e verificai poco dopo che il libro era sparito. Convocai quindi l’autore di quel libro, il professor Quindici, docente di antropologia culturale all’università di Bologna, che peraltro collegai con altre, lontane indagini da me svolte sui Nar (terroristi manovrati dai servizi segreti, ndr) quando ero giudice istruttore a Treviso. Già per telefono gli chiesi se fosse in grado di localizzare i siloi, mi rispose di aver tracciato anche una mappa, per cui accettò di assumere l’incarico di consulente venendo a Matera. Ci incontrammo, al momento dell’incarico trapelò l’obiettivo per cui gli chiedevo di individuare i siloi, la consulenza fu accettata ma non dette alcun esito e mi fu dichiarato che non era stato possibile individuarli».
Sono spariti addirittura 7,3 metri cubi di scorie liquide ad alta attività. Sempre nell'audizione di tre anni fa, il giudice Pace ha specificato: "In partenza i miei dati facevano riferimento a 10 metri cubi, ma nella contabilità si trovarono 2,7 metri cubi. Non ho ragione di contestare il dato, ma so che i primi elementi investigativi facevano rferimento a un quantitativo di rifiuti della peggior specie nell'ordine di 10 metri cubi".
Segreto di Stato - Una sensibile giornalista come Marisa Ingrosso dopo opportune verifiche, due giorni ha pubblicato un approfondimento sul quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno: «Non è possibile conoscere il futuro dell’Impianto trattamento elementi combustibile (Itrec) di Trisaia, in provincia di Matera. Così il Ministero dello Sviluppo Economico risponde alla richiesta della «Gazzetta» di visionare il piano di smantellamento della Società Gestione Impianti Nucleari (Sogin Spa) o, per meglio dire, il «Piano globale di disattivazione dell’impianto Itrec di Trisaia» e la «Proposta di prescrizioni per la disattivazione… Come nasce questo nuovo «muro di gomma» è presto spiegato. Lo scorso 11 luglio, la Sogin (che è la società di Stato incaricata della bonifica ambientale dei siti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi), trasmette un comunicato stampa in cui informa che l’assemblea dei soci ha approvato il bilancio 2011. Oltre a dire che è il «miglior risultato da quando la Società è stata costituita», dice pure che «è stata elaborata ed inviata istanza generale di smantellamento» per l’Itrec. Pochi giorni dopo, la «Gazzetta» contatta la Sogin e chiede copia dell’«istanza». Al diniego della Spa, il giornale si rivolge al Ministero dello Sviluppo Economico che, essendo responsabile del procedimento, ne ha copia. Dopo 8 mesi di solleciti, lunedì scorso arriva un fax su carta ministeriale e firmato Marcello Saralli, l’ingegnere della divisione «Gestione di materiali e rifiuti nucleari ». In breve, il Ministero dice che la Sogin, informata della richiesta della «Gazzetta», «ha espresso parere negativo» in quanto «nei documenti di cui trattasi sono contenuti dati, informazioni ed elaborati che, in base alla normativa vigente, e segnatamente ai sensi del Dpcm 22 luglio 2011, recante “Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di stato e delle informazioni classificate”, debbono considerarsi “informazioni classificate controllate” secretate»… Di certo c’è che la Sogin afferma che «terminerà la bonifica dell’impianto di Rotondella nel 2026». Cosa accadrà nei prossimi 13 anni non siamo in grado di dirlo, è segreto di Stato».
Oltrer l'assurdita del diritto. Si usa il segreto statale addirittura su un un documento e un domento pubblico. Infatti, sul caso i servizi segreti italiani, ovvero Sismi & Sisde (oggi denominati Aise & Aisi) hanno operato un depistaggio ed inquinamento di prove in ambito giudiziario tale da disorientare i magistrati applicati all'indagine.
Oltrer l'assurdita del diritto. Si usa il segreto statale addirittura su un un documento e un domento pubblico. Infatti, sul caso i servizi segreti italiani, ovvero Sismi & Sisde (oggi denominati Aise & Aisi) hanno operato un depistaggio ed inquinamento di prove in ambito giudiziario tale da disorientare i magistrati applicati all'indagine.
(1 – continua…)
Post scriptum: Sul centro nucleare della Trisaia di Rotondella (che ho visitato in tre occasioni), e sulle attività segrete ed illecite ivi compiute dalle autorità dello Stato italiano ho realizzato alcune inchieste, pubblicate nel corso degli anni dal settimanale L’Espresso (2003), dal settimanale D - La Repubblica delle Donne (2004), dal settimanale Famiglia Cristiana (2005), dal giornale online Italia Terra Nostra (2009-2010). Solo questa vicenda occupa un intero capitolo dell’inchiesta sulle navi dei veleni.