vendredi 30 août 2013

Su La Testa!: ITALIA: LO STATO SVENDE I MARI ALLE MULTINAZIONALI DEL PETROLIO

ARTICOLO TRATTO DAL SITO DI GIANNI LANNES:
Su La Testa!: ITALIA: LO STATO SVENDE I MARI ALLE MULTINAZIONAL...:

Mediterraneo (Tirreno) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)





di Salvatore Esposito


Lungo le coste nordamericane pacifiche ed atlantiche vige il divieto assoluto di trivellare e di eseguire ispezioni sismiche a 160 chilometri da riva per proteggere l'ambiente. In Italia, invece, no. Soprattutto le compagnie straniere fanno scempio di ecosistemi fragili, grazie alle concessioni governative.

La Spectrum Geo Limited e' una societa' a responsabilità limitata con sede a Londra. Ha presentato istanze per prospezioni idrocarburi in mare, che interessano una superficie di ben 30.810 chilometri quadrati.

La Petroleum Geo Service Asia Pacific con sede a Singapore ha depositato istanza di permesso per prospezioni in mare su un territorio marino esteso per 14.280 chilometri quadrati.

Sulle tre richieste avanzate per la prospezione in mare di queste due compagnie straniere, che sono interessate ad un’area di circa 45.000 kmq da Ravenna fino all’estremità meridionale della Puglia è stato rilasciato, con l’ultimo provvedimento emesso il 14 giugno 2013, parere favorevole da parte della Commissione nazionale di Valutazione di impatto ambientale. Tra l'altro, senza tener conto dell'incombente rischio sismico.

In caso di incidente addio ai mari d'Italia: altro che Golfo del Messico. 

Gargano (dicembre 2009). uno dei sette capodogli deceduti per cause umane

Per tali esplorazioni si prevede di utilizzare la tecnica dell’airgun. Un tipo di prospezione che può avere conseguenze sulla fauna marina, dai pesci ai grandi cetacei, come riportato anche nel documento dell’Ispra di maggio 2012 dal titolo Rapporto tecnico Valutazione e mitigazione dell’impatto acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani: “(…) la complicità di fattori ecologici (profondità), biologici (inesperienza del gruppo), sociali (aggregazione), patologici e tossicologici (alterazione del sensorio e immunocomprensione di origine chimica), uniti a fattori antropici, come il rumore generato dall’airgun nel corso di attività sismiche, può aver determinato nei capodogli l’impossibilità ad orientarsi, il conseguente digiuno e il successivo spiaggiamento (…)".

Le ispezioni sismiche si eseguono tramite violentissimi spari di aria compressa rivolti verso i fondali marini. Le onde riflesse forniscono informazioni sui giacimenti di idrocarburi nel sottosuolo. Numerosi studi scientifici mondiali attestano la loro estrema dannosita' per le specie marine: gli spari airgun possono causare spiaggiamenti, lesioni, morte di cetacei, pesci e specie bentonitiche anche a centinaia di chilometri di distanza dal punto di impatto.

Le prospezioni geofisiche a mezzo tecnica 3D con airgun rivolti verso i fondali marini provocano effetti devastanti ai mammiferi marini, specialmente a quelli appartenenti all'ordine degli Odontoceti, orche, capodogli e delfini, il cui sensibile udito viene danneggiato dalle violenti esplosioni d'aria prodotte dagli airgun anche a lunga distanza dalla sorgente.

Gargano (dicembre 2009). Uno dei sette capodogli deceduti per cause umane

Il senso più importante e straordinario dei cetacei è l'ecolocalizzazione, ed una volta danneggiato porta al conseguente spiaggiamento. La responsabile del Centro di Coordinamento per la raccolta dei dati sugli spiaggiamenti di mammiferi marini, Elisabezza Bernuzzi, ha dichiarato apertamente che "l'air-gun è una delle cause di morte dei cetacei".

Data l'entita' dei progetti speculativi e la vicinanza alla riva delle indagini sismiche, il rischio a cui si va incontro e' di avviare un irreversibile processo di petrolizzazione dell'Adriatico intero con pozzi e infrastruttura petrolifera lungo il litorale, rischi di subisdenza, scoppi, perdite di petrolio, deturpazione del paesaggi, stravolgimenti della qualita' della vita e pochissimi benefici per i cittadini italiani. Soprattutto inquinamento: per la perforazione ed estrazione di idrocarburi si usano sostanze radioattive, poi rilasciate in mare.

L'Adriatico è un mare fragile, chiuso, che impiega circa un secolo per il ricambio superficiale delle acque, gia' stremato da attività antropiche devastanti, oltre alla rapina di idrocarburi. 


Isole Tremiti (Pianosa) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


Diamo i numeri ufficiali. In Italia nell’ultimo anno i consumi di petrolio sono scesi, attestandosi a 64.3 milioni di tonnellate (Unione petrolifera, Relazione annuale 2013), il 9 per cento in meno rispetto al 2011. Nel 2012 si sono estratti 5,4 milioni di tonnellate, il 2,5 per cento in più rispetto all’anno precedente, di cui 473 mila in mare. In mare le regioni petrolifere sono rappresentate dal mare Adriatico centro meridionale e dal canale di Sicilia, dove si trovano le 10 piattaforme oggi attive, sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di supericie marina.



 


Carta titoli minerari al 31 dicembre 2012

Nel 2012 circa il 30 per cento del petrolio estratto dai fondali marini è stato prodotto dalla piattaforma Vega A di Edison, d costa ragusana del Canale di Sicilia. Le altre piattaforme attive sono state quelle di Rospo mare di fronte la costa abruzzese, Sarago di fronte quella marchigiana e Aquila, una vecchia piattaforma a largo di Brindisi.

Le aree interessate da richieste per la ricerca e la coltivazione di giacimenti e dalle attività di ricerca su cui un domani potrebbero sorgere nuove piattaforme però sono tante di più.
Attualmente sono 7 le richieste per la coltivazione di nuovi giacimenti per un totale di 732 kmq individuati, che andrebbero a sommarsi ai 1.786 kmq su cui già insistono le piattaforme attive; ammontano a 14 i permessi di ricerca attivi per un totale di 6.371 kmq. L’ultimo conferito nel marzo scorso alla Petroceltic Italia a largo della costa abruzzese (tra Vasto e Ortona).

Mediterraneo (Adriatico) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Invece sono 32 le richieste di ricerca di idrocarburi per un totale di 15.574 kmq di mare non ancora rilasciate, ma in attesa di valutazione e autorizzazione da parte dei ministeri dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello Sviluppo economico.

Tra le aree dove insistono le piattaforme attive, quelle su cui è stato richiesto il permesso per sfruttare nuovi giacimenti, quelle in cui sono in atto attività di ricerca e quelle in cui si vorrebbero iniziare, l’area sotto scacco delle compagnie petrolifere è circa 24 mila kmq. 

 Mediterraneo (Adriatico) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Le attività petrolifere sono favorite da una strategia energetica che punta al rilancio della produzione di idrocarburi nazionali e in particolare da norme, come l’articolo 35 del decreto sviluppo, approvato il 26 giugno 2012, che hanno riaperto la strada alle attività distruttive anche nelle aree sottocosta e di maggior pregio.  
In Adriatico centrale, lo scorso 25 gennaio la Commissione VIA ha rilasciato parere positivo al progetto per una nuova piattaforma Ombrina mare con annessa nave-impianto petrolchimico di pretrattamento della Medoilgas. L’impianto sorgerebbe a sole 3 miglia dall’istituendo Parco nazionale della Costa Teatina, e vede la contrarietà di cittadini e delle stesse amministrazioni locali e della Regione Abruzzo. La richiesta nel 2010 era stata sospesa dai vincoli imposti dal Decreto legislativo 128/2010, perché troppo vicino alla costa, vincoli azzerati dall’articolo 35 del decreto Sviluppo.

Mediterraneo (Jonio) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Nel Canale di Sicilia la Northern Petroleum ha presentato richiesta per allargare i permessi di ricerca in fase di autorizzazione per un’area di oltre 1.300 kmq, prima vincolati perché troppo vicini ad aree protette e di pregio, ed ora di nuovo disponibili alle attività petrolifere. Sempre nel canale di Sicilia è stata presentata anche una richiesta da parte di Edison, nell’ambito della concessione in cui opera la piattaforma Vega A, di completamento del progetto estrattivo. La società intende costruire un secondo impianto, denominato Vega B, collegato a quello esistente.

Nello Ionio la Shell è titolare di due richieste di ricerca per oltre 1.350 kmq, su cui le tre regioni costiere, Puglia, Calabria e Basilicata si sono già espresse contro. Nello stesso tratto di mare sono attivi altre 8 richieste per un totale di oltre 5mila kmq. Questo tratto di mare è tornato all’attenzione delle compagnie petrolifere dopo che nel 2011 una norma ad hoc ha riaperto la strada alle trivelle anche nel golfo di Taranto.

Mediterraneo (Tirreno) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Il Ministero dello sviluppo economico, con un decreto approvato il 27 dicembre 2012 ha esteso l’area di mare da destinare alla ricerca e l’estrazione di petrolio intorno alla Sicilia (Zona C), istituendo una nuova area, “Zona C – settore sud” che occupa un ampio tratto a est dello Ionio Meridionale e a sud-est del Canale di Sicilia, in virtù del “potenziale interesse alla ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle aree di sottosuolo marino sopra richiamate”.

Il mare italiano, secondo le ultime stime del ministero dello sviluppo economico, conserva come riserve certe, circa “10 milioni di tonnellate di petrolio” amaro (ossia di pessima qualità) che, stando ai consumi attuali durerebbero per appena due mesi. Nel caso dovessimo raggiungere gli obiettivi della Stratega energetica nazionale, che prevede un incremento del 148 per cento nella produzione annuale di greggio, e quindi portare l’estrazione di petrolio dalle attuali 5 milioni di tonnellate a oltre 12 milioni di tonnellate estratte annualmente, le riserve totali (nel mare e nel sottosuolo italiano) si esaurirebbero in un decennio. L’obiettivo della cosiddetta Strategia è di "incrementare l’estrazione dal mare e dal territorio italiani di idrocarburi portando il loro contributo dal 7 al 14% del fabbisogno energetico, incrementando da qui al 2020 l’attuale produzione".  

Mare Adriatico, Termoli: i trabocchi - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Gli ultimi interventi normativi del Governo italiano incoraggiano la devastazione ambientale, come dimostra il condono delle trivelle in mare previsto dall’articolo 35 del Decreto Sviluppo (Decreto Legge numero 83 del 22 giugno 2012, recante misure urgenti per la crescita del Paese). Un provvedimento che da una parte aumenta a 12 miglia la fascia di divieto, ma solo per le nuove richieste di estrazione di petrolio in mare, mentre al contempo fa ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati dal decreto legge 29 giugno 2010 numero 128, approvato dopo l’incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. L’articolo 35 del decreto “Cresci Italia” stabilisce di fare salvi i procedimenti concessori (…) in corso, ma anche i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi che siano stati avviati al 29 giugno 2010. Inoltre, la fascia off-limits delle 12 miglia parte ora dalle linee di costa (cioè dalla battigia) e non come era stabilito precedentemente dalle linee di base (linee che includono golfi e insenature). In sostanza, anziché garantire i soli titoli acquisiti, si mettono a rischio ampie zone delle acque territoriali italiane, anche all’interno delle fasce d’interdizione introdotte nel giugno 2010 a tutela delle aree protette.

Nonostante il prodotto estratto sia scarso e di scadente qualità, l’Italia è una sorta di paradiso fiscale per i petrolieri: estrarre idrocarburi nel nostro Paese è vantaggioso solo perché esistono meccanismi che riducono a zero il rischio d’impresa, mettendo però ad alto rischio l’ambiente. Infatti, le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Non è tutto. Le aliquote (royalties) sul prodotto estratto sono di gran lunga le più basse al mondo e sulle 59 società operanti in Italia nel 2011 solo 5 le hanno effettuato versamenti (ENI, Shell, Edison, Jonica Gas, Adriatica Idrocarburi).

Oggi in Italia si pagano ancora e sempre canoni decisamente irrisori per la prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio oggi vigenti che vanno dai 3,40 euro a kmq per le attività di prospezione, ai 6,82 per i permessi di ricerca, fino ai 55 euro circa a kmq per le attività di coltivazione.

Mediterraneo (Adriatico) - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)

Le 10 piattaforme marine di estrazione petrolifera attive in Italia, equipaggiate con 67 pozzi produttivi, si trovano prevalentemente nel Mar Adriatico, 2 (piattaforme Sarago Mare 1 e A) per un totale di 4 pozzi a largo delle coste marchigiane tra Civitanova Marche e Porto San Giorgio e 3 (piattaforme Rospo mare A, B e C) per un totale di 29 pozzi di fronte l’Abruzzo e il Molise tra Vasto e Termoli, 1 (piattaforma Aquila) a largo di Brindisi con i suoi 1 pozzo produttivo), e nel Canale di Sicilia, 4 (Gela, Perla, Prezioso, Vega A) tra Gela e Ragusa, per un totale di 33 pozzi. La piattaforma Aquila estrae in maniera non continuativa: era ferma nel 2011, ha ripreso l’attività solo nei primi due mesi del 2012, ha ricominciato a estrarre nei primi 4 mesi del 2013 con una produzione nuovamente significativa.

Alle piattaforme già attive nei mari italiani seguono, nei vari livelli dell’iter procedurale, le richieste per ottenere la concessione di coltivazione dei giacimenti, ovvero le richieste fatte dalle varie compagnie petrolifere che, a seguito delle indagini condotte in precedenza, ritengono di passare alla vera e propria estrazione dal sottosuolo degli idrocarburi. In particoilare: le richieste di coltivazione sul territorio italiano sono 7 per un totale di 732 kmq e riguardano: la costa marchigiana, dove è attiva una richiesta di Eni attualmente in fase decisoria in conferenza dei servizi (d29BC-AG; la costa abruzzese, sul fronte di mare della costa teatina antistante Ortona, con una richiesta di coltivazione di proprietà dell’Agip che risulta all’inizio dell’iter procedurale ancora in fase istruttoria pre-CIRM (d26BC-AG); la costa abruzzese, sempre sul fronte di mare della costa teatina nella zona antistante San Vito Chietino e Rocca San Giovanni, dove la richiesta della Medoilgas che, l’anno scorso in fase di rigetto, è in corso di decreto VIA (d30BC-MD). La richiesta della Medoilgas è ripartita, dopo il parere contrario rilasciato dalla commissione VIA nel 2010, proprio grazie agli effetti dell’articolo 35 del decreto sviluppo. L’area interessata è a sole 3 miglia dall’istituendo Parco nazionale della Costa Teatina; il mar Ionio di fronte a Marina di Sibari (Cs) dove Eni ha presentato una richiesta attualmente in corso di richiesta di VIA (d6FC-AG); il canale di Sicilia con 2 richieste di Eni di fronte a Licata, in corso di decreto VIA (d2GC-AG e d3GC-AG); il canale di Sicilia a ridosso dell’Isola di Pantelleria, con una richiesta di Agip/Edison in corso di richiesta di VIA (d1GC-AG).

A queste si deve aggiungere anche il progetto per una nuova piattaforma nell’ambito della concessione già attiva di proprietà della Edison a largo della costa ragusana.  

Nella fase precedente a quella della richiesta della concessione ci sono i permessi di ricerca petrolifera già rilasciati nel mare italiano, che ad oggi sono 14: 5 nel canale di Sicilia, 5 nell’Adriatico abruzzese, 2 in quello pugliese, 1 in quello marchigiano e 1 in Sardegna per una superficie totale di 6.371 kmq tra mar Adriatico centro-meridionale e canale di Sicilia.


Vieste - foto Gianni Lannes (tutti i diritti riservati)


L'Adriatico, lo Jonio e il Tirreno non sono oceani, bensì mari chiusi. Meritano di essere protetti per il godimento delle generazioni presenti e future e non svenduti al miglior offerente straniero in cambio di pochi spiccioli.
 



fonti: