DA:
03 maggio 2017
Quando prendiamo delle decisioni, un circuito cerebrale calcola quanto siano
remunerative per noi le diverse possibilità. Ma un altro circuito è in grado
di intervenire per smorzare il valore di un’opzione se questa richiede di
infliggere dolore a qualcun altro (red)
da lescienze.it
I circuiti cerebrali che rendono poco gratificante - almeno alla maggioranza
delle persone - un profitto ottenuto attraverso un comportamento scorretto
sono stati identificati da ricercatori dello University College London in
collaborazione con l'Università di Oxford, che firmano un articolo
pubblicato su "Nature Neuroscience".
Tutti i sistemi morali, come notano gli autori, vietano di danneggiare gli
altri per il proprio mero tornaconto personale. Tuttavia, finora si sapeva
ben poco sui meccanismi neurologici che permettono a questi principi di
guidare il comportamento morale.
Nel nuovo studio Molly J. Crockett e colleghi hanno monitorato con risonanza
magnetica funzionale l'attività cerebrale di un gruppo di volontari mentre
questi decidevano di infliggere, in modo anonimo, del dolore a se stessi o a
sconosciuti in cambio di una certa quantità di denaro.
I volontari erano stati divisi in coppie, in cui uno dei due, scelto in modo
casuale, aveva il ruolo di "decisore" e l'altro di "ricevente". Il decisore
doveva scegliere fra diverse opzioni in ciascuna delle quali a un certo
numero di scosse elettriche somministrate corrispondeva un certo importo di
denaro che avrebbe ricevuto in cambio. Metà delle volte la somministrazione
riguardava il soggetto stesso e l'altra metà il "ricevente". Le scosse erano
tarate sulla soglia del dolore di ciascun ricevente in modo da renderle
lievemente dolorose ma tollerabili.
Come già mostrato da precedenti ricerche, la valutazione del beneficio che
una certa azione può portare a una persona - in questo caso il decisore -
stimola nel suo cervello l'attività di alcuni circuiti cerebrali situati
nella parte dorsale dello striato, una struttura coinvolta nella
pianificazione delle azioni. In questa ricerca Crockett e colleghi hanno
però anche osservato che l'attività una regione cerebrale nota per essere
coinvolta nella formulazione dei giudizi morali, la corteccia prefrontale
laterale (LPFC), era tanto più intensa quanto minore era l'attività nello
striato. Inoltre, quando le persone si rifiutavano di trarre profitto dal
dolore degli altri, preferendo infliggere un numero minore di scosse a
scapito del guadagno, la LPFC comunicava in modo particolarmente intenso con
lo striato.
Ciò suggerisce - osservano i ricercatori - che le rappresentazioni neurali
delle regole morali conservate nella LPFC possono compromettere il valore
del profitto ottenuto (codificato nello striato), quando questo profitto è
frutto di una cattiva azione. Il livello di intervento della LPFC sullo
striato corrisponde dunque al livello di interiorizzazione delle norme
morali, interiorizzazione che, notano i ricercatori, nella maggior parte dei
soggetti è apparsa discreta. In buona parte dei casi, infatti, la
somministrazione di un numero elevato di scosse (a cui corrispondeva un
compenso più alto) non era avvenuta ai danni dell'altra persona, ma dello
stesso decisore. Ossia, di fronte al raggiungimento di uno scopo hanno
provato più avversione a infliggere un danno ad altri che a sé, nonostante
l'anonimato da cui era protetta la loro scelta.
Il prossimo obiettivo dei ricercatori è comprendere quanto, come e quando
questo sistema di circuiti sia disturbato nelle situazioni in cui alcune
persone manifestano un comportamento antisociale.
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03 maggio 2017
Quando prendiamo delle decisioni, un circuito cerebrale calcola quanto siano
remunerative per noi le diverse possibilità. Ma un altro circuito è in grado
di intervenire per smorzare il valore di un’opzione se questa richiede di
infliggere dolore a qualcun altro (red)
da lescienze.it
I circuiti cerebrali che rendono poco gratificante - almeno alla maggioranza
delle persone - un profitto ottenuto attraverso un comportamento scorretto
sono stati identificati da ricercatori dello University College London in
collaborazione con l'Università di Oxford, che firmano un articolo
pubblicato su "Nature Neuroscience".
Tutti i sistemi morali, come notano gli autori, vietano di danneggiare gli
altri per il proprio mero tornaconto personale. Tuttavia, finora si sapeva
ben poco sui meccanismi neurologici che permettono a questi principi di
guidare il comportamento morale.
Nel nuovo studio Molly J. Crockett e colleghi hanno monitorato con risonanza
magnetica funzionale l'attività cerebrale di un gruppo di volontari mentre
questi decidevano di infliggere, in modo anonimo, del dolore a se stessi o a
sconosciuti in cambio di una certa quantità di denaro.
I volontari erano stati divisi in coppie, in cui uno dei due, scelto in modo
casuale, aveva il ruolo di "decisore" e l'altro di "ricevente". Il decisore
doveva scegliere fra diverse opzioni in ciascuna delle quali a un certo
numero di scosse elettriche somministrate corrispondeva un certo importo di
denaro che avrebbe ricevuto in cambio. Metà delle volte la somministrazione
riguardava il soggetto stesso e l'altra metà il "ricevente". Le scosse erano
tarate sulla soglia del dolore di ciascun ricevente in modo da renderle
lievemente dolorose ma tollerabili.
Come già mostrato da precedenti ricerche, la valutazione del beneficio che
una certa azione può portare a una persona - in questo caso il decisore -
stimola nel suo cervello l'attività di alcuni circuiti cerebrali situati
nella parte dorsale dello striato, una struttura coinvolta nella
pianificazione delle azioni. In questa ricerca Crockett e colleghi hanno
però anche osservato che l'attività una regione cerebrale nota per essere
coinvolta nella formulazione dei giudizi morali, la corteccia prefrontale
laterale (LPFC), era tanto più intensa quanto minore era l'attività nello
striato. Inoltre, quando le persone si rifiutavano di trarre profitto dal
dolore degli altri, preferendo infliggere un numero minore di scosse a
scapito del guadagno, la LPFC comunicava in modo particolarmente intenso con
lo striato.
Ciò suggerisce - osservano i ricercatori - che le rappresentazioni neurali
delle regole morali conservate nella LPFC possono compromettere il valore
del profitto ottenuto (codificato nello striato), quando questo profitto è
frutto di una cattiva azione. Il livello di intervento della LPFC sullo
striato corrisponde dunque al livello di interiorizzazione delle norme
morali, interiorizzazione che, notano i ricercatori, nella maggior parte dei
soggetti è apparsa discreta. In buona parte dei casi, infatti, la
somministrazione di un numero elevato di scosse (a cui corrispondeva un
compenso più alto) non era avvenuta ai danni dell'altra persona, ma dello
stesso decisore. Ossia, di fronte al raggiungimento di uno scopo hanno
provato più avversione a infliggere un danno ad altri che a sé, nonostante
l'anonimato da cui era protetta la loro scelta.
Il prossimo obiettivo dei ricercatori è comprendere quanto, come e quando
questo sistema di circuiti sia disturbato nelle situazioni in cui alcune
persone manifestano un comportamento antisociale.
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Inviato da: <amadeux@gmx.net>