Copio/incollo da:
https://www.libreidee.org/2012/08/desaparecidos-la-chiesa-in-argentina-aiuto-i-carnefici/
Una vera e propria valanga di dichiarazioni è uscita dalla bocca dell’ex dittatore Jorge Videla durante gli ultimi interrogatori. Le informazioni ricavate hanno messo fine ad un lungo dibattito sui modelli di transizione dal regime alla democrazia in Argentina, durante l’ultimo periodo della dittatura militare. In molti nello Stato del Sud America criticavano la riapertura dei processi per crimini contro l’umanità, sostenendo che l’obiettivo di giungere ad una condanna penale rischiava di ostacolare il raggiungimento della verità. Gli stessi esaltavano, invece, il modello sudafricano consistente nell’ottenere informazioni in cambio dell’impunità. Ciononostante, in Argentina, sono già state pronunciate oltre 250 sentenze di condanna al termine di processi che hanno garantito tutti i diritti alla difesa, tanto che vi sono state anche due dozzine di sentenze di assoluzione. Il flusso di informazioni, però, non solo non si è arrestato, ma è addirittura aumentato, portando a galla molte testimonianze e verità storiche.
Le successive confessioni del condannato Videla a diversi giornalisti
che lo hanno intervistato in carcere hanno fatto luce sulla complicità
con il regime dei grandi imprenditori, dei principali partiti
politici e perfino della Chiesa Cattolica. Nell’ultima intervista, l’ex
dittatore ha sostenuto che il nunzio apostolico Pio Laghi, l’ex
presidente della Conferenza Episcopale Raul Primatesta e altri vescovi,
hanno fornito al suo governo consigli su come gestire la situazione dei
detenuti “desaparecidos”. Secondo quanto rivelato da Videla, la Chiesa
si spinse addirittura ad “offrire i suoi buoni uffici” affinché il
governo informasse della morte dei figli tutte le famiglie che si
fossero impegnate a non rendere pubblica la notizia e smettere di
protestare. Questo dimostra che la Chiesa non solo era a conoscenza dei
crimini della dittatura militare, ma ne era addirittura complice; come
risulta dai documenti segreti pubblicati in libri e articoli e la cui
autenticità l’Episcopato è stato costretto a riconoscere dinanzi alla giustizia.
La prova di un coinvolgimento attivo dell’Episcopato per garantire il
silenzio dei familiari delle vittime sembra ormai accertato. Lo stesso
silenzio che la Chiesa aveva adottato sul caso desaparecidos. Videla ha
dichiarato che, dal regime,
non vennero fornite informazioni sui desaparecidos affinché nessuna
madre si chiedesse “dove è sepolto mio figlio per portargli un fiore?
Chi l’ha ucciso? Perché? Come l’hanno ucciso? A nessuna di queste
domande fu data risposta”. Il ragionamento fu lo stesso che Videla fece
il 10 aprile 1978, nel corso di un cordiale pranzo alla presenza della
commissione esecutiva dell’Episcopato. Secondo la nota informativa
inviata dai vescovi al Vaticano, Videla aveva detto loro che «sarebbe
ovvio» affermare che nessuno è desaparecido, che «sono morti», ma che
una tale affermazione avrebbe «alimentato una serie di domande sul luogo
della sepoltura. Era forse
una fossa comune? E in tal caso: chi li ha messi in questa fossa?
Insomma, una serie di domande alle quali il governo non poteva
rispondere sinceramente per le conseguenze a carico di alcune persone»,
vale a dire per proteggere i sequestratori e gli assassini.
«Il primo ufficiale che ha confessato la partecipazione personale al
massacro, il capitano della Marina Adolfo Scilingo, mi raccontò che
quando il comandante delle Operazioni Navali lo aveva informato che i
prigionieri sarebbero stati gettati in mare dagli aerei, gli aveva anche
detto che si erano consultati con le autorità ecclesiastiche per
trovare la soluzione più cristiana e meno violenta. Quando tornò turbato
dal primo volo e si rivolse al cappellano della sua unità militare, il
sacerdote lo tranquillizzò raccontandogli alcune parabole bibliche.
Disse che era una morte cristiana perché non avevano sofferto», dichiara il giornalista Jacobo Timerman.
Nel corso del primo processo contro esponenti della giunta militare, lo stesso Timerman raccontò che quando aveva chiesto per quale ragione non avevano applicato apertamente la pena di morte, uno degli ufficiali più alti in grado della Marina gli aveva risposto: «In questo caso sarebbe intervenuto il Papa e sarebbe stato difficile fucilare i detenuti se il Pontefice avesse fatto pressione». Il generale Ramon Diaz Bessone diede la medesima spiegazione alla giornalista francese Marie-Monique Robin: «Pensate alle pesanti critiche rivolte dal Papa a Franco nel 1975 per la fucilazione di appena tre persone. A noi ci sarebbe saltato addosso tutto il mondo. Non sarebbe stato possibile fucilare 7000 persone». Questo spiega perché, fino ad oggi, la Chiesa non ha scomunicato Videla e nessuno degli altri condannati, tra i quali il sacerdote cattolico Christian Von Wernich.
(Luca Michetti, “Argentina, l’ex dittatore Videla confessa: la Chiesa aiutò il regime con i desaparecidos”, dal newsmagazine “You-ng” del 3 agosto 2012, ripreso da “Megachip”).