PAS-FermiamoLeBanche&LeTasse
(conteggi gratuiti per mutui e fidi)
MUTUI, A CAUSA DELLA FRODE BANCARIA EURIBOR, non sono dovuti gli interessi sui mutui, leasing, derivati ecc. a tasso variabile in essere, dal 2005 al 2008 per quelli basati sull’euribor (euro), e dal 2007 al 2010 per quelli basati sul tibor (yen). Questo perché la Commissione Europea ha inflitto alle banche una multa di 1,71 miliardi di euro per aver esse banche falsificato l’euribor, il libor e il tibor (il costo del denaro tra banche). La decisione spiana la strada alle azioni civili e penali sia individuali che di massa per ottenere di pagare il solo capitale e farsi restituire gli interessi pagati. Scrivici per sapere come fare su ufficio.legale@pas.it, o telefonaci al n. 800660815, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30, dal lunedì al giovedì, il venerdì fino alle 16.30.
CONTEGGI (GRATUITI), COSTI E PROCEDURA: Sia per i mutui che per i fidi (nonché leasing ecc) facciamo i conteggi gratuitamente. Non prendiamo anticipi. Inviamo alla banca un invito bonario a conciliare allegando i conteggi. Se non c’è risposta iniziamo la procedura per il tentativo obbligatorio di mediazione. Se non si concilia, procediamo alla citazione. Nelle opposizioni (a decreto ingiuntivo, precetto, pignoramento ecc) agiamo immediatamente. Per la mediazione obbligatoria l’assistito deve pagare i diritti previsti allo Stato e, per le citazioni, le spese di iscrizione a ruolo, che variano, secondo il valore della causa, da 37 euro a 1.466 euro. In corso di causa bisogna pagare la CTU (consulenza tecnica di ufficio) disposta dal giudice. CTU alle quali ci stiamo però opponendo con molta veemenza perché sono inutili.
MUTUI, LEASING, DERIVATI ECC: QUALI SONO IMPUGNABILI?
Si possono impugnare:
-1) I mutui, leasing, derivati ecc a tasso variabile quando siano stati in essere nel periodo dal 2005 al 2008 per quelli legati all’euribor (tasso interbancario in euro), e dal 2007 al 2010 per quelli legati allo tibor (tasso interbancario in yen).
-2) Tutti i mutui, leasing ecc, quando vi è usura.
-3) Tutti i mutui ecc basati sull’ammortamento alla francese (quasi tutti), perché contiene l’anatocismo. Anatocismo che è vietato dal 1.1.2014, ma era illegittimo anche prima, perché era consentito solo nei contratti in cui era previsto sia al passivo che all’attivo: attivo che, nel caso dei mutui, ovviamente non c’è mai.
Si possono impugnare:
-1) I mutui, leasing, derivati ecc a tasso variabile quando siano stati in essere nel periodo dal 2005 al 2008 per quelli legati all’euribor (tasso interbancario in euro), e dal 2007 al 2010 per quelli legati allo tibor (tasso interbancario in yen).
-2) Tutti i mutui, leasing ecc, quando vi è usura.
-3) Tutti i mutui ecc basati sull’ammortamento alla francese (quasi tutti), perché contiene l’anatocismo. Anatocismo che è vietato dal 1.1.2014, ma era illegittimo anche prima, perché era consentito solo nei contratti in cui era previsto sia al passivo che all’attivo: attivo che, nel caso dei mutui, ovviamente non c’è mai.
CONTI CORRENTI: QUALI SONO IMPUGNABILI? I conti correnti si possono impugnare solo quando vi sono stati fidi, e si possono impugnare anche se non c’è stata usura. Per i fidi chiediamo che la banca sia condannata a restituire la differenza tra il saldo che pretende e il saldo calcolato da noi. Differenza che corrisponde, secondo i nostri criteri, a circa il 10% annuale del fido (rispetto al 13,32%: costo medio dei fidi dal 22.4.2000 al 31.12.2010). Se ad esempio se c’è stato un fido di 50.000 euro per 7 anni, emergerà presumibilmente dai nostri conti una differenza di 35.000 euro (5.000 euro annuali x 7 anni = 35.000). Se i fidi sono troppo modesti o sono durati poco, occorre valutare il da farsi, perché emergono differenze non abbastanza alte, e siccome, specie in primo grado, gli accoglimenti possono anche essere solo di una percentuale di quanto richiesto (ad esempio, su una richiesta di 5.000 euro il giudice di primo grado ne riconosce 2.500), potrebbe non convenire fare causa perché, considerato il costo della consulenza tecnica di ufficio (non sappiamo ancora come andrà la nostra ‘guerra’ contro le ctu), i margini diventano troppo sottili.
PRESCRIZIONE. Sia per i mutui che per i fidi si può fare causa entro 10 anni dalla chiusura del rapporto con la banca, e si può agire per il recupero di tutto, anche se il mutuo o fido è durato ad esempio 30 anni, perché la prescrizione non decorre mentre il rapporto è in essere.
DOCUMENTI NECESSARI. Sia per i mutui che per i fidi ci occorre tutta la documentazione (meglio se via mail). Se non la si ha, la si può chiedere alla banca, che deve per legge rilasciarla entro tre mesi. Finora la banca non era obbligata a dare documentazione più vecchia di dieci anni dal momento in cui la si chiede. Ora invece la Cassazione ha detto che deve dare anche quella oltre i dieci anni.
DENUNCE PENALI SIA PER MUTUI CHE PER FIDI. Facciamo sistematicamente le denunzie penali quando c’è usura, perché basta il rinvio a giudizio della banca per chiedere al Pubblico Ministero – in relazione a quanto ricaduto o scaduto entro un anno dalla presentazione della denunzia – la sospensione: -a) per 300 giorni dei procedimenti esecutivi; -b) per 3 anni, degli adempimenti fiscali; -c) per un anno dei termini di prescrizione e quelli perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione; -d) per 1 anno dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili e i termini relativi a processi esecutivi mobiliari ed immobiliari, ivi comprese le vendite e le assegnazioni forzate. Facciamo le denunce anche per la falsificazione dell’euribor, libor e tibor, anche perché dal ricalcolo in base all’esatto euribor, libor e tibor è facile emerga che c’è anche l’usura.
EQUITALIA E ALTRI ENTI: ECCO I RICORSI CHE FACCIAMO. Innanzitutto va detto che i ricorsi fiscali, diversamente dalle cause contro le banche, non sono gratuiti, e i loro costi vanno concordati di volta in volta.
I nostri ricorsi fiscali, opposizioni a cartelle esattoriali, pignoramenti ecc, sono fondati innanzitutto sulla richiesta che il giudice dichiari illeciti i tributi (tasse, imposte e contributi) dato il signoraggio, cioè perché servono solo a comprare dalle banche centrali i soldi che lo Stato deve invece produrre da sé al costo della carta e dell’inchiostro (o elettronicamente), senza creare alcun debito pubblico, e risolvendo così ogni crisi.
In subordine – come seconda motivazione (seguita da tutte le altre che la giurisprudenza già accoglie) – chiediamo che venga dichiarata l’impossibilità materiale di pagarli a causa dell’indetraibilità delle spese inevitabili.
Ciò per i lavoratori sia subordinati che autonomi che per le società.
Impossibilità che emerge ora che queste assurde cifre lo Stato le vuole davvero, perché in passato la cosiddetta ‘evasione’ era una prassi, per cui le aliquote erano oggetto di scarsa attenzione sociale.
Impossibilità perché, non essendo deducibili le spese inevitabili, quali il cibo, l’abbigliamento, i trasporti, la casa ecc., le aliquote (a loro volta assurde) si abbattono su un reddito che non esiste.
Facciamo per primo l’esempio di un lavoratore autonomo: un professionista con famiglia e un reddito ‘netto’ (ma solo delle spese che gli è oggi consentito detrarre) di 40.000 euro annuali. Un ‘netto’ cioè che non è netto affatto perché, oltre ai costi che oggi si considerano deducibili, dovrà fare le spese non deducibili ma inevitabili sopra accennate, sicché gli rimarranno alla fine diciamo 10.000 euro.
Ne deriva che, sul falso netto di 40.000 euro, con un’aliquota complessiva effettiva diciamo del 50%, gli si chiedono 20.000 euro, che equivale a dire 10.000 euro in più di quello che gli è rimasto, nonché un’aliquota del 200%.
È chiaro invece che gli si devono chiedere le tasse solo sul vero netto (10.000 euro), quindi 5.000 euro.
Riconoscimento dell’impossibilità di pagare che va esteso anche all’IVA e alla ritenuta d’acconto perché, anche se si ometta di versare ciò che si è riscosso solo per versarlo, una volta che si è resa ingestibile, o drammatica, lo condizione del contribuente, non si può più pretendere da lui alcuna normalità. (A parte poi, quanto all’IVA, che il dovuto va ricalcolato detraendo l’IVA anche sui costi inevitabili e indetraibili.)
Occorre in definitiva forfettizzare le spese inevitabili, consentirne la detrazione dal reddito lordo, e solo sul residuo sarà logico chiedere i tributi.
Né cambia nulla il fatto che, per il lavoro subordinato, la tassazione è alla fonte (ma la ritenuta d’acconto è prevista anche per i lavoratori autonomi).
Consideriamo ad esempio la busta paga di gennaio 2013 del sig. MD (un caso reale). Ebbene, MD, a gennaio 2013, ha riscosso 1.852 euro rispetto a un lordo di 3.883 sborsati dal datore di lavoro, il 52,30% dei quali, ovvero 2.031 euro, sono stati quindi assorbiti dai tributi.
Con il risultato che, poiché a MD, pagate le spese inevitabili, rimangono al massimo (se sa fare i miracoli), diciamo 200 euro, avrà pagato tributi per oltre dieci volte il suo vero reddito.
Un’impossibilità di pagare che per i lavoratori subordinati ha connotazioni diverse, ma sussiste lo stesso perché deve essere rapportata a questo stadio della civiltà e dell’economia, per cui bisogna partire dal presupposto che, ad esempio, cento anni fa, la ricchezza consisteva nell’avere da mangiare, mentre oggi è la povertà a consistere nell’avere solo da mangiare l’essenziale.
Ne deriva che, mentre per i lavoratori autonomi l’impossibilità è constatabile materialmente, perché si configura come un non avere più il denaro sul quale il fisco vuole i tributi, per i lavoratori subordinati l’impossibilità è giuridica, perché le detrazioni li spingono a livelli tali che essi, escogitando in qualunque modo delle soluzioni, riescono a realizzare delle forme di sopravvivenza che in realtà sono possibili anche con 100 euro al mese, o con nulla (fruendo della pietà pubblica o privata), ma non sono inquadrabili nello Stato di diritto.
Specie poi se si considera che la penuria di denaro è causata dal crimine del signoraggio, o meglio, dal fatto che la magistratura, il legislatore, il potere esecutivo e l’informazione sono venduti alle banche e consentono loro di rubare, attraverso il signoraggio primario e secondario, il 90% della ricchezza.
Diverso è invece il problema per le società, che non hanno spese ‘personali’, ma anche per le quali sussistono non modesti costi ineludibili e indentraibili, e che comunque sono soggette ad aliquote che consentono la loro sopravvivenza solo mediante il falso in bilancio, l’evasione o l’elusione; che pertanto non possono essere considerati reati.
Vanno in sostanza dichiarate incostituzionali tutte le norme che, nel dettare i criteri per la determinazione dell’imponibile, non consentono la detrazione delle spese inevitabili.
I nostri ricorsi fiscali, opposizioni a cartelle esattoriali, pignoramenti ecc, sono fondati innanzitutto sulla richiesta che il giudice dichiari illeciti i tributi (tasse, imposte e contributi) dato il signoraggio, cioè perché servono solo a comprare dalle banche centrali i soldi che lo Stato deve invece produrre da sé al costo della carta e dell’inchiostro (o elettronicamente), senza creare alcun debito pubblico, e risolvendo così ogni crisi.
In subordine – come seconda motivazione (seguita da tutte le altre che la giurisprudenza già accoglie) – chiediamo che venga dichiarata l’impossibilità materiale di pagarli a causa dell’indetraibilità delle spese inevitabili.
Ciò per i lavoratori sia subordinati che autonomi che per le società.
Impossibilità che emerge ora che queste assurde cifre lo Stato le vuole davvero, perché in passato la cosiddetta ‘evasione’ era una prassi, per cui le aliquote erano oggetto di scarsa attenzione sociale.
Impossibilità perché, non essendo deducibili le spese inevitabili, quali il cibo, l’abbigliamento, i trasporti, la casa ecc., le aliquote (a loro volta assurde) si abbattono su un reddito che non esiste.
Facciamo per primo l’esempio di un lavoratore autonomo: un professionista con famiglia e un reddito ‘netto’ (ma solo delle spese che gli è oggi consentito detrarre) di 40.000 euro annuali. Un ‘netto’ cioè che non è netto affatto perché, oltre ai costi che oggi si considerano deducibili, dovrà fare le spese non deducibili ma inevitabili sopra accennate, sicché gli rimarranno alla fine diciamo 10.000 euro.
Ne deriva che, sul falso netto di 40.000 euro, con un’aliquota complessiva effettiva diciamo del 50%, gli si chiedono 20.000 euro, che equivale a dire 10.000 euro in più di quello che gli è rimasto, nonché un’aliquota del 200%.
È chiaro invece che gli si devono chiedere le tasse solo sul vero netto (10.000 euro), quindi 5.000 euro.
Riconoscimento dell’impossibilità di pagare che va esteso anche all’IVA e alla ritenuta d’acconto perché, anche se si ometta di versare ciò che si è riscosso solo per versarlo, una volta che si è resa ingestibile, o drammatica, lo condizione del contribuente, non si può più pretendere da lui alcuna normalità. (A parte poi, quanto all’IVA, che il dovuto va ricalcolato detraendo l’IVA anche sui costi inevitabili e indetraibili.)
Occorre in definitiva forfettizzare le spese inevitabili, consentirne la detrazione dal reddito lordo, e solo sul residuo sarà logico chiedere i tributi.
Né cambia nulla il fatto che, per il lavoro subordinato, la tassazione è alla fonte (ma la ritenuta d’acconto è prevista anche per i lavoratori autonomi).
Consideriamo ad esempio la busta paga di gennaio 2013 del sig. MD (un caso reale). Ebbene, MD, a gennaio 2013, ha riscosso 1.852 euro rispetto a un lordo di 3.883 sborsati dal datore di lavoro, il 52,30% dei quali, ovvero 2.031 euro, sono stati quindi assorbiti dai tributi.
Con il risultato che, poiché a MD, pagate le spese inevitabili, rimangono al massimo (se sa fare i miracoli), diciamo 200 euro, avrà pagato tributi per oltre dieci volte il suo vero reddito.
Un’impossibilità di pagare che per i lavoratori subordinati ha connotazioni diverse, ma sussiste lo stesso perché deve essere rapportata a questo stadio della civiltà e dell’economia, per cui bisogna partire dal presupposto che, ad esempio, cento anni fa, la ricchezza consisteva nell’avere da mangiare, mentre oggi è la povertà a consistere nell’avere solo da mangiare l’essenziale.
Ne deriva che, mentre per i lavoratori autonomi l’impossibilità è constatabile materialmente, perché si configura come un non avere più il denaro sul quale il fisco vuole i tributi, per i lavoratori subordinati l’impossibilità è giuridica, perché le detrazioni li spingono a livelli tali che essi, escogitando in qualunque modo delle soluzioni, riescono a realizzare delle forme di sopravvivenza che in realtà sono possibili anche con 100 euro al mese, o con nulla (fruendo della pietà pubblica o privata), ma non sono inquadrabili nello Stato di diritto.
Specie poi se si considera che la penuria di denaro è causata dal crimine del signoraggio, o meglio, dal fatto che la magistratura, il legislatore, il potere esecutivo e l’informazione sono venduti alle banche e consentono loro di rubare, attraverso il signoraggio primario e secondario, il 90% della ricchezza.
Diverso è invece il problema per le società, che non hanno spese ‘personali’, ma anche per le quali sussistono non modesti costi ineludibili e indentraibili, e che comunque sono soggette ad aliquote che consentono la loro sopravvivenza solo mediante il falso in bilancio, l’evasione o l’elusione; che pertanto non possono essere considerati reati.
Vanno in sostanza dichiarate incostituzionali tutte le norme che, nel dettare i criteri per la determinazione dell’imponibile, non consentono la detrazione delle spese inevitabili.
Avv. Alfonso Luigi Marra