" Il silenzio dei media su #Bibbiano, pur sapendo benissimo che il Paese non parla d’altro, fa capire a TUTTA ITALIA a che livelli di potere siano quelli che trafficano i bambini”.
Si intuisce un senso di offesa profondissima nella gente, aggravato dalla revulsione di fronte all’appoggio dei poteri forti interni ed esteri alle violazioni della Sea Watch, vissuto come una sceneggiata per nascidnere iu fatti dell’Emilia, e un’offesa di troppo – che supera l’indignazione per l’offesa a bambini e a famiglie indifese, più fondamentale della rassegnata esasperazione per la quotidiana malagiustizia, e più grave e irrimediabile persino della coscienza di essere in una gabbia di potere perverso e impunito. Qualcosa di più elementare è stato offeso nel cuore della gente che capisce.
Come dirlo? Un amico, dopo la Messa, commentando l’orrore di Bibbiano, mi dice: “Non oso dirlo, ma se fosse successo a me, che mi portano via la bambina i giudici da affido, io cederei alla tentazione di farmi giustizia”.
Lo dice con esitazione “da cattolico” che è stato condizionato a guardare come non cristiane queste pulsioni. Come siamo cambiati noi cattolici. L’uccisone del tiranno è stata considerata non lecita, ma doverosa.
Un padre a cui un sistema di giudici ingiusti e cointeressati direttamente a godere dei benefici di questa ingiustizia, porti via la figlia, non ha il diritto di ucciderli. Ha il dovere di farlo, quando tra la sua bambina e i malvagi che gliela portano via con tutti i crismi della legge, non c’è che lui.
Il protettore di ultima istanza dei suoi figli, è il Pater Familias.
Tutto il compito della civiltà, della cultura giuridica e politica, e la giustificazione dello Stato, è di ridurre l’uso della violenza ad ultima ratio.
Si ripete che lo Stato ha il monopolio della violenza – luogo comune – senza tener conto che lo Stato usa questa violenza per delega. I patres familias da secoli hanno lasciato la punizione dei delitti e la difesa della terra allo Stato; ciò in nome della tranquillità nell’ordine. Ma quando lo Stato tralascia così gravemente il suo dovere penale, al punto che sono i suoi giudici a colpire l’innocente e a graziare il colpevole, torna la violenza come prima ratio. Il riprendere “nelle proprie mani” la punizione del male fatto ai propri figli riemerge nel pater familias come una imperiosa legittimità.
Legittimità. Un padre, anche “cattolico”, non dovrebbe vergognarsi di avere l’impulso di farsi giustizia contro l’ingiusto violatore dei suoi bambini; dovrebbe invece vergognarsi del contrario, di non averlo fatto. La viltà, la mancanza di coraggio, la convenienza di non correre rischi, la mancanza di abitudine e l’assenza di armi, hanno buon guioco a scusare ciascuno di noi.
Ma non bisogna cadere nell’equivoco, anche recentemente agitato da chiacchiere dellapolitica , di parlare di “diritto” alla legittima difesa. Non esiste un “diritto di uccidere”; esiste, in precise circostanze, il dovere di uccidere. Come l’agente che spara al rapinatore che sta per amamzzare una terza persona, o il privato che spara per difendere se stesso,, o moglie e figli e terzi, da un omicida. E’ un dovere, uno stretto obbligo di giustizia.
“Che poi questo dovere sia poco praticato, non meraviglia e conferma quanto detto: perché è certo più frequente che si rinunci all’osservanza di un dovere che all’esercizio di un diritto”, ha scritto con acuto humour Vittorio Mathieu.
Umorismo in un tema di gravità tremenda, l’obbligo della legge penale. Quello che i nostri procuratori e politici a loro comodo dimenticano, è che “la legge penale non è fatta per difendere lo Stato, ma viceversa: lo Stato è fatto per difendere la legge penale”. La validità assoluta della legge penale, la sua superiorità-anteriorità allo Stato, è dimostrata dal fatto che anche la delinquenza organizzata ha il suo diritto penale, ed è basato sugli stessi principi , e che applica infallibilmente – per mezzo della pena di morte – contro chi al suo interno “sgarra” alle regole: di lealtà verso il gruppo, fedeltà, onestà.
“Non c’è dubbio che se affidassimo la repressione dei reati ad un boss della malavita, con un curriculum che lo renda degno di un compito così importante. , otterremmo una società dai principii rigidi, borghesi, in cui la libertà di ciascuno è tutelata dalle indebite interferenze altrui con i mezzi più severi”, ironizzva Mathieu nel suo saggio Perché Punire (Milano 197) –
Le attuali rivelazioni sulla magistratura e la sua corruzione, e sullo scandalo degli affidi a lesbiche a 200-400 euro al giorno, ci ha fatti giungere alla convinzione che se avessimo affidato la giustizia all’indimenticabile don Tano Badalamenti, uomo di comando e di parola, egli l’avrebbe fatta in modo esemplare. Da Pater Familias.
In questo senso uno sul web dice : “E’ un paese spaventoso”. Un tradimento così profondo del patto sociale, condurrà ad esiti durissimi. Temo, al sangue."