di M.Blondet -
Per un ventennio ogni elezione italiana è stata un plebiscito: pro o contro Berlusconi. Il voto prossimo venturo, 25 maggio, sono già riusciti a farcelo vivere di nuovo come un plebiscito: pro o contro Matteo Renzi. Per naturalmente preparare «il trionfo» di Renzi (bella forza: dall’altra parte non c’è altro che un vecchio in delirio e le sue badanti-escort), e farci dimenticare che il «trionfo» porterà non Renzi, ma una infornata di piddini in Europa. Già, perché si tratta di elezioni europee, e i piddini sono i più ottusamente servi dell’eurocrazia che esistano.
In Francia, invece, la campagna già si concentra sulla vera posta in gioco: il Trattato Transatlantico di libero scambio che ci assoggetterà alle multinazionali USA. Le maggioranze che usciranno dalle elezioni di maggio saranno decisive per accettarlo o contrastarlo.
I negoziati per concluderlo sono avanzatissimi e , per volontà di Bruxelles, sono segreti. La nomenklatura eurocratica (quella che mai abbiamo eletto, avete presente?) si riunisce in cordialissimi conciliaboli con la lobby alimentare, Food & Drink Europe (ossia le multinazionali: Unilever, Nestlé, Kraft...), e invita dette multinazionali a presentare le liste di quelle regolamentazioni che vogliono eliminare; a vantaggio ovviamente della regolamentazione americana, enormemente più lassista — o diciamo meglio, inesistente. Ciò che ci stanno cucinando, è censurato. I giornalisti non devono saperne nulla.
La buona notizia è che in Francia, anche la classe politica più eurofila e gli intellettuali prima più euro-entusiasti stanno cominciando ad allarmarsi. E a risvegliare l’opinione pubblica. Escono libri e saggi a getto continuo da parte di pentiti, che si uniscono agli euro-oppositori della prima ora, da Michael Todd a Jacques Sapir al vecchio leone socialista Jena-Pierre Chévénement. Qualche esempio: Franck Dedieu giornalista di L’Expansion (tipo il nostro Il Mondo) e Benjamin Masse-Stamberger de l’Express (tipo L’Espresso), letti dalla borghesia «illuminata», hanno appena sfornato un saggio dal titolo «Casser l’euro pour sauver l’Europe » (Spaccare l’euro per salvare l’Europa) — ed hanno riabilitato il protezionismo come strumento economico. Francois Ruffin di Le Monde Diplomatique (radical-chic, sinistra al caviale) ha pubblicato «Faut-il faire sauter Bruxelles?»), ossia: «Bisogna far saltare Bruxelles?». Coralie Delaume è una giornalista di Marianne, piuttosto a sinistra: ed ha scritto «Europe, les états désunis». Francamente a sinistra si colloca l’economista Frédéric Lordon, che ha pubblicato una critica fierissima e documentata della mal-costruzione europea: «La malfaçon, monnaie européenne et souveraineté démocratique».
Il senatore Jean Arthuis, centrista, già Ministro dell’economia, ha stilato una specie di manifesto: «7 buone ragioni per opporsi al trattato transatlantico di libero scambio». Io sono sempre stato un europeista convinto e favorevole alla NATO – esordisce il senatore: ma una cosa è voler abbassare le barriere tariffarie e convergere le regolamentazioni per accrescere i commerci, «un’altra cosa lasciar calpestare da Washington gli interessi europei senza avere il coraggio di difenderli con fermezza». Istruttive le sette buone ragioni che elenca, che fanno intuire ciò che i compari ci preparano in segreto.
«Primo – mi oppongo alla composizione privatistica delle controversie fra Stati ed imprese. Domani, come vuole la proposta americana, un’azienda che si ritenga lesa dalla decisione politica di un Governo vi potrebbe ricorrere. È l’esatto contrario della mia idea della sovranità degli Stati.
«Secondo – mi oppongo ad ogni messa in causa del sistema europeo di denominazione d’origine controllata. Domani, se l’hanno vinta gli USA, ci sarà solo un registro non vincolante, e solo per i vini e liquori. Una tale riforma ucciderebbe molte produzioni locale europee il cui valore poggia sull’origine certificata.
«Terzo – Mi oppongo alla firma di un trattato con una potenza che spia massicciamente e sistematicamente i miei concittadini europei, e le imprese europee. Fino a quando l’accordo non protegge i dati personali dei cittadini europei (ed americani se è per questo), non bisogna firmarlo.
«Quarto – Gli Stati Uniti propongono uno spazio finanziario comune transatlantico, ma rifiutano categoricamente una regolamentazione comune della finanza, come rifiutano di abolire le sistematiche discriminazioni fatte dalla piazze finanziarie americane contro i servizi finanziari europei. Io mi oppongo a questa idea di una “spazio comune” senza regole comuni, e che manterrebbe le discriminazioni commerciali.
«Quinto – Mi oppongo alla messa in causa della protezione sanitaria europea. Washington deve capire una volta per tutte che nonostante la sua insistenza, non vogliamo nei nostri piatti né animali trattati all’ormone della crescita, né prodotti OGM, né decontaminazione chimica delle carni, né sementi geneticamente modificati, né antibiotici non terapeutici nell’alimentazione animale.
«Sesto – Mi oppongo alla firma di un accordo che non includa la fine del dumping monetario americano. Dalla soppressione della convertibilità in oro del dollaro e al passaggio del sistema di cambi flottanti, il dollaro è allo stesso tempo la moneta nazionale statunitense, e l’unità di riserva e di scambi mondiale. La Federal Reserve pratica dunque continuamente il dumping monetario agendo sulla quantità dei dollari disponibili per favorire le esportazioni americane. La soppressione di questo svantaggio sleale suppone come propone la Cina, di fare dei «diritti speciali di prelievo» del Fondo Monetario la nuova moneta mondiale di riferimento. In termini di competitività, l’arma monetaria ha lo stesso effetto che i dazi doganali.
«Settimo – Al di là del settore audiovisivo, bandiera dell’attuale Governo (Hollande-Valls) che serve da foglia di fico alla sua viltà su tutti gli altri interessi europei nel negoziato, voglio che ogni “eccezione culturale” sia difesa. Specialmente, è inaccettabile lasciare che i servizi digitali nascenti d’Europa siano spazzati via dai giganti americani come Google, Amazon o Netflix. Giganti che essendo padroni dell’“ottimizzazione fiscale” [ossia del pagare le tasse nei Paesi di loro scelta, perché la tassazione è più lieve] fanno dell’Europa una colonia digitale.
Non mi pare di aver mai ascoltato questa serie di argomenti precisi, su un tema così importante per tutti noi, sulle labbra di un nostro senatore, politico o sindacalista o «professore». Fate voi i nomi: Franceschini e Letta? Silenzio eucratico e speranzoso. Mai Bersani è stato capace di articolare un simile discorso (il suo massimo: «L’Europa okkèi, ma non così»). D’Alema lo farà? Aspetta e spera (deve occuparsi di pugnalare Renzi); «il giurista Rodotà» nemmanco. Mario Monti, stupirebbe. Cuperlo, non mi sembra. Forse la Camusso? Me la sono persa. Il fatto è che la cosiddetta «sinistra», sapendo di vincere le elezioni (per abbandono dell’avversario in piena demenza), fa il pesce in barile, dice il meno che può. È tutto un aum-aum senza parole né progetti, se non l’«europeismo»: Draghi, Merkel, Goldman Sachs.... Quello per cui nientemeno che il capo golpista dello Staterello, Napolitano, s’è fatto ospitare nell’avaspettacolo del compagno Fazio a minacciare: «Anche se vincono gli euroscettici, l’Europa non torna indietro».
E invece il problema è proprio questo: far tornare indietro l’eurocrazia dal patto transatlantico. Per questo è essenziale, a maggio, dare forza i partiti «anti-europei», sperando che siano meno peggiori di quanto appaiano: il 5 Stelle (che mai voterei per l’Italia) e soprattutto la Lega di Salvini, che s’è impegnata a coordinarsi con Le Pen. Comunque la pensiate (e io non ne penso benissimo) mi pare essenziale far che la Lega in Europa superi lo sbarramento. Altrimenti le «sinistre» italiote, renziane o bersaniane o cuperliane, sono tutte «europeiste» e grideranno che il popolo italiano vuole «più Europa». Cioè, si adopreranno per ficcarci Monsanto nei nostri piatti, distruggere le denominazioni d’origine, smantellare i controlli sanitari e i contratti di lavoro.
In Francia, è certo che il Governo cosiddetto “socialista” (Manuel «Kippà» Valls) si schiera per gli americani; basta ricordare che Hollande – che recentemente ha superato anche il suo record di impopolarità: 13%. – è volato a Washington a fare atto di sottomissione alla dittatura del Big Business. I nostri piddini si sono fatti ammettere nell’internazionale socialista, e col cappello in mano, obbediranno agli ordini... degli Schultz, dei Barroso, degli Hollande. Un trionfo di Renzi, che ne manderebbe troppi al parlamento europeo. Troppi servi del grande capitale (a volte perfino senza saperlo, come noto).
Frattanto, la Camera di Commercio USA in Svezia, organo dell’Ambasciata americana (Ambasciatore, un Brzezinski junior) ha diffuso una serie di allegri video per minorati mentali dove spiegano il bello di «promuovere un mercato transatlantico senza ostacoli che contribuirà alla crescita economica, all’innovazione e alla sicurezza» e «favorirà la discussione e lo scambio di idee tra i capi d’impresa e dirigenti governativi».
Esempio di questi scambi di idee: Monsanto potrà chiamare in giudizio uno Stato europeo che vieta la coltivazione OGM, sostenendo che la norma danneggia il suo business e diminuisce i suoi profitti. Cosa facilissima da dimostrare, ovviamente. Particolarmente irritanti per Food & Drink, come ostacoli al libero commercio sono le «misure sanitarie e fito-sanitarie» dei Paesi europei, che andranno eliminate. Insieme beninteso ai rimanenti diritti del lavoro, ai servizi sanitari nazionali, alle norme che proteggono l’ambiente da trivellaggi e fracking. (Le traité transatlantique expliqué par les lobbyistes, c'est lol!)
Tutte le regolazioni vigenti in Europa saranno poste sotto la tutela delle mega-corporations americane, con gli eurocrati di Bruxelles addetti al compito di far ingoiare la pillola (o la supposta) ai cittadini europoidi. Per le «procedure» gli «investimenti»: gli USA vogliono che sia permesso alle imprese americane di investire nella UE senza dover rendere conto ai tribunali dei Paesi-membri, e nemmeno della UE; si vogliono rivolgere a tribunali internazionali, dotati di poteri punitivi contro gli Stati che oseranno opporre loro delle leggi a protezione della salute pubblica, della previdenza sociale o dell’ambiente. La scusa sarà quella: ostacolano il libero commercio.
È la definitiva cessione di sovranità, e mica a Barroso e Olli Rehn, ma perfino peggio: a Monsanto, Google, Glaxo, Goldman Sachs....
Quindi no, italiani: il 25 maggio non siete chiamati a fare un referendum su Renzi o contro, come vi fanno credere Ballarò e Santoro. Il caso è più serio delle solite tifoserie. E il pericolo è mortale.
In Francia, invece, la campagna già si concentra sulla vera posta in gioco: il Trattato Transatlantico di libero scambio che ci assoggetterà alle multinazionali USA. Le maggioranze che usciranno dalle elezioni di maggio saranno decisive per accettarlo o contrastarlo.
I negoziati per concluderlo sono avanzatissimi e , per volontà di Bruxelles, sono segreti. La nomenklatura eurocratica (quella che mai abbiamo eletto, avete presente?) si riunisce in cordialissimi conciliaboli con la lobby alimentare, Food & Drink Europe (ossia le multinazionali: Unilever, Nestlé, Kraft...), e invita dette multinazionali a presentare le liste di quelle regolamentazioni che vogliono eliminare; a vantaggio ovviamente della regolamentazione americana, enormemente più lassista — o diciamo meglio, inesistente. Ciò che ci stanno cucinando, è censurato. I giornalisti non devono saperne nulla.
La buona notizia è che in Francia, anche la classe politica più eurofila e gli intellettuali prima più euro-entusiasti stanno cominciando ad allarmarsi. E a risvegliare l’opinione pubblica. Escono libri e saggi a getto continuo da parte di pentiti, che si uniscono agli euro-oppositori della prima ora, da Michael Todd a Jacques Sapir al vecchio leone socialista Jena-Pierre Chévénement. Qualche esempio: Franck Dedieu giornalista di L’Expansion (tipo il nostro Il Mondo) e Benjamin Masse-Stamberger de l’Express (tipo L’Espresso), letti dalla borghesia «illuminata», hanno appena sfornato un saggio dal titolo «Casser l’euro pour sauver l’Europe » (Spaccare l’euro per salvare l’Europa) — ed hanno riabilitato il protezionismo come strumento economico. Francois Ruffin di Le Monde Diplomatique (radical-chic, sinistra al caviale) ha pubblicato «Faut-il faire sauter Bruxelles?»), ossia: «Bisogna far saltare Bruxelles?». Coralie Delaume è una giornalista di Marianne, piuttosto a sinistra: ed ha scritto «Europe, les états désunis». Francamente a sinistra si colloca l’economista Frédéric Lordon, che ha pubblicato una critica fierissima e documentata della mal-costruzione europea: «La malfaçon, monnaie européenne et souveraineté démocratique».
Il senatore Jean Arthuis, centrista, già Ministro dell’economia, ha stilato una specie di manifesto: «7 buone ragioni per opporsi al trattato transatlantico di libero scambio». Io sono sempre stato un europeista convinto e favorevole alla NATO – esordisce il senatore: ma una cosa è voler abbassare le barriere tariffarie e convergere le regolamentazioni per accrescere i commerci, «un’altra cosa lasciar calpestare da Washington gli interessi europei senza avere il coraggio di difenderli con fermezza». Istruttive le sette buone ragioni che elenca, che fanno intuire ciò che i compari ci preparano in segreto.
«Primo – mi oppongo alla composizione privatistica delle controversie fra Stati ed imprese. Domani, come vuole la proposta americana, un’azienda che si ritenga lesa dalla decisione politica di un Governo vi potrebbe ricorrere. È l’esatto contrario della mia idea della sovranità degli Stati.
«Secondo – mi oppongo ad ogni messa in causa del sistema europeo di denominazione d’origine controllata. Domani, se l’hanno vinta gli USA, ci sarà solo un registro non vincolante, e solo per i vini e liquori. Una tale riforma ucciderebbe molte produzioni locale europee il cui valore poggia sull’origine certificata.
«Terzo – Mi oppongo alla firma di un trattato con una potenza che spia massicciamente e sistematicamente i miei concittadini europei, e le imprese europee. Fino a quando l’accordo non protegge i dati personali dei cittadini europei (ed americani se è per questo), non bisogna firmarlo.
«Quarto – Gli Stati Uniti propongono uno spazio finanziario comune transatlantico, ma rifiutano categoricamente una regolamentazione comune della finanza, come rifiutano di abolire le sistematiche discriminazioni fatte dalla piazze finanziarie americane contro i servizi finanziari europei. Io mi oppongo a questa idea di una “spazio comune” senza regole comuni, e che manterrebbe le discriminazioni commerciali.
«Quinto – Mi oppongo alla messa in causa della protezione sanitaria europea. Washington deve capire una volta per tutte che nonostante la sua insistenza, non vogliamo nei nostri piatti né animali trattati all’ormone della crescita, né prodotti OGM, né decontaminazione chimica delle carni, né sementi geneticamente modificati, né antibiotici non terapeutici nell’alimentazione animale.
«Sesto – Mi oppongo alla firma di un accordo che non includa la fine del dumping monetario americano. Dalla soppressione della convertibilità in oro del dollaro e al passaggio del sistema di cambi flottanti, il dollaro è allo stesso tempo la moneta nazionale statunitense, e l’unità di riserva e di scambi mondiale. La Federal Reserve pratica dunque continuamente il dumping monetario agendo sulla quantità dei dollari disponibili per favorire le esportazioni americane. La soppressione di questo svantaggio sleale suppone come propone la Cina, di fare dei «diritti speciali di prelievo» del Fondo Monetario la nuova moneta mondiale di riferimento. In termini di competitività, l’arma monetaria ha lo stesso effetto che i dazi doganali.
«Settimo – Al di là del settore audiovisivo, bandiera dell’attuale Governo (Hollande-Valls) che serve da foglia di fico alla sua viltà su tutti gli altri interessi europei nel negoziato, voglio che ogni “eccezione culturale” sia difesa. Specialmente, è inaccettabile lasciare che i servizi digitali nascenti d’Europa siano spazzati via dai giganti americani come Google, Amazon o Netflix. Giganti che essendo padroni dell’“ottimizzazione fiscale” [ossia del pagare le tasse nei Paesi di loro scelta, perché la tassazione è più lieve] fanno dell’Europa una colonia digitale.
Non mi pare di aver mai ascoltato questa serie di argomenti precisi, su un tema così importante per tutti noi, sulle labbra di un nostro senatore, politico o sindacalista o «professore». Fate voi i nomi: Franceschini e Letta? Silenzio eucratico e speranzoso. Mai Bersani è stato capace di articolare un simile discorso (il suo massimo: «L’Europa okkèi, ma non così»). D’Alema lo farà? Aspetta e spera (deve occuparsi di pugnalare Renzi); «il giurista Rodotà» nemmanco. Mario Monti, stupirebbe. Cuperlo, non mi sembra. Forse la Camusso? Me la sono persa. Il fatto è che la cosiddetta «sinistra», sapendo di vincere le elezioni (per abbandono dell’avversario in piena demenza), fa il pesce in barile, dice il meno che può. È tutto un aum-aum senza parole né progetti, se non l’«europeismo»: Draghi, Merkel, Goldman Sachs.... Quello per cui nientemeno che il capo golpista dello Staterello, Napolitano, s’è fatto ospitare nell’avaspettacolo del compagno Fazio a minacciare: «Anche se vincono gli euroscettici, l’Europa non torna indietro».
E invece il problema è proprio questo: far tornare indietro l’eurocrazia dal patto transatlantico. Per questo è essenziale, a maggio, dare forza i partiti «anti-europei», sperando che siano meno peggiori di quanto appaiano: il 5 Stelle (che mai voterei per l’Italia) e soprattutto la Lega di Salvini, che s’è impegnata a coordinarsi con Le Pen. Comunque la pensiate (e io non ne penso benissimo) mi pare essenziale far che la Lega in Europa superi lo sbarramento. Altrimenti le «sinistre» italiote, renziane o bersaniane o cuperliane, sono tutte «europeiste» e grideranno che il popolo italiano vuole «più Europa». Cioè, si adopreranno per ficcarci Monsanto nei nostri piatti, distruggere le denominazioni d’origine, smantellare i controlli sanitari e i contratti di lavoro.
In Francia, è certo che il Governo cosiddetto “socialista” (Manuel «Kippà» Valls) si schiera per gli americani; basta ricordare che Hollande – che recentemente ha superato anche il suo record di impopolarità: 13%. – è volato a Washington a fare atto di sottomissione alla dittatura del Big Business. I nostri piddini si sono fatti ammettere nell’internazionale socialista, e col cappello in mano, obbediranno agli ordini... degli Schultz, dei Barroso, degli Hollande. Un trionfo di Renzi, che ne manderebbe troppi al parlamento europeo. Troppi servi del grande capitale (a volte perfino senza saperlo, come noto).
Frattanto, la Camera di Commercio USA in Svezia, organo dell’Ambasciata americana (Ambasciatore, un Brzezinski junior) ha diffuso una serie di allegri video per minorati mentali dove spiegano il bello di «promuovere un mercato transatlantico senza ostacoli che contribuirà alla crescita economica, all’innovazione e alla sicurezza» e «favorirà la discussione e lo scambio di idee tra i capi d’impresa e dirigenti governativi».
Esempio di questi scambi di idee: Monsanto potrà chiamare in giudizio uno Stato europeo che vieta la coltivazione OGM, sostenendo che la norma danneggia il suo business e diminuisce i suoi profitti. Cosa facilissima da dimostrare, ovviamente. Particolarmente irritanti per Food & Drink, come ostacoli al libero commercio sono le «misure sanitarie e fito-sanitarie» dei Paesi europei, che andranno eliminate. Insieme beninteso ai rimanenti diritti del lavoro, ai servizi sanitari nazionali, alle norme che proteggono l’ambiente da trivellaggi e fracking. (Le traité transatlantique expliqué par les lobbyistes, c'est lol!)
Tutte le regolazioni vigenti in Europa saranno poste sotto la tutela delle mega-corporations americane, con gli eurocrati di Bruxelles addetti al compito di far ingoiare la pillola (o la supposta) ai cittadini europoidi. Per le «procedure» gli «investimenti»: gli USA vogliono che sia permesso alle imprese americane di investire nella UE senza dover rendere conto ai tribunali dei Paesi-membri, e nemmeno della UE; si vogliono rivolgere a tribunali internazionali, dotati di poteri punitivi contro gli Stati che oseranno opporre loro delle leggi a protezione della salute pubblica, della previdenza sociale o dell’ambiente. La scusa sarà quella: ostacolano il libero commercio.
È la definitiva cessione di sovranità, e mica a Barroso e Olli Rehn, ma perfino peggio: a Monsanto, Google, Glaxo, Goldman Sachs....
Quindi no, italiani: il 25 maggio non siete chiamati a fare un referendum su Renzi o contro, come vi fanno credere Ballarò e Santoro. Il caso è più serio delle solite tifoserie. E il pericolo è mortale.
Fonte: EffediEffe