dimanche 3 août 2014

Su La Testa!: MARCO PANTANI: UCCISO TRE VOLTE di Gianni Lannes

Su La Testa!: MARCO PANTANI: UCCISO TRE VOLTE: di Gianni Lannes









di Gianni Lannes


Marco Pantani è stato ammazzato tre volte. La prima a Madonna di Campiglio il 5 giugno 1999, la seconda il 14 febbraio 2004; l'ultima il 9 novembre 2011, in Corte di Cassazione a Roma.

Accade in Italia. E’ stupefacente che la magistratura attenda un esposto della famiglia per riaprire un fascicolo giudiziario, come a dire che le indagini su un presunto omicidio o su una morte quantomeno sospetta debbano essere approfondite solo se è la famiglia a richiederlo espressamente, altrimenti si possono fare in modo dilettantesco e superficiale come sono state realizzate nel caso di Pantani, e purtroppo in molti altri casi. 

Interpellate pure gli esperti medici, ma parliamoci chiaro. Un ciclista pulito, dopo 3 settimane di giro, senza trattamenti dopanti, dovrebbe avere un ematocrito intorno a 40 se al primo giorno di gara si presentasse con un ematocrito da 50 (limite imposto dall'uci). Ora i casi sono tre: o Pantani era dopato a Madonna di Campiglio, o ha iniziato il giro con un ematocrito di 60 (e non lo avrebbero dovuto nemmeno far partire ), oppure hanno esaminato il sangue di un altro. Considerando da quale sistema mafioso è manipolato il ciclismo, la risposta è lampante.

Il dramma di Marco Pantani inizia secondo la mamma di Marco con la squalifica di Madonna di Campiglio. Il 5 giugno del 1999 l'Unione Ciclistica Italiana divulgò i risultati di alcuni test eseguiti sui ciclisti dai quali era emerso che il Pirata avesse nel sangue una concentrazione di globuli rossi del 52 per cento. La soglia massima era del 50. Scattò una squalifica di 15 giorni con conseguente estromissione dal Giro d'Italia . «Mio figlio - ha spiegato Tonina - è di fatto morto a Madonna di Campiglio. Non so cosa sia successo ma fu incastrato. Anche perché sei mesi dopo cambiarono i regolamenti e dunque Marco non sarebbe più stato estromesso dal Giro. Quegli esami non avevano alcun valore. Poi venne fuori che il direttore sportivo della squadra lo aveva rimproverato perché quel giorno non doveva vincere la tappa. Allora mi chiedo: si corre per vincere o per perdere? In quel momento mi tornarono in mente le parole che mi disse mio figlio quando passò al professionismo dopo aver vinto il giro d'Italia dilettanti. In quel nuovo mondo, mi raccontò, c'è la mafia. Inizialmente non avevo capito cosa intendesse dire, pensavo fosse solo frastornato da un universo completamente nuovo dove si sentiva un novellino. Ora posso intuire a cosa poteva riferirsi. Era una persona che non prendeva medicine nemmeno quando era malato. Lo hanno invece fatto passare come un drogato depresso che si riempiva di farmaci. Hanno detto e scritto che assumeva quantità industriali di cocaina e che per questo aveva speso un sacco di soldi. Anche qui c'è un mistero. Uno dei miei avvocati ha scoperto che la firma rilasciata in banca negli ultimi tempi non era quella di mio figlio. Una perizia calligrafica ha smentito si trattasse di quella originale. Dunque non era stato lui ad effettuare quei prelievi».

Marco Pantani verrà ritrovato cadavere il 14 febbraio 2004 in una delle stanze dell'hotel “Le Rose” di Rimini, smantellato subito dopo la morte del pirata. Perché distruggere la scena del delitto? L'autopsia certificò "ufficialmente" che la morte sopraggiunse per un edema cerebrale e polmonare a seguito di un'overdose di cocaina.  Marco quella mattina aveva telefonato per due volte alla reception chiedendo al portiere di chiamare i carabinieri perché in camera c'era qualcuno che gli dava fastidio. Dopo un'ora che chiedeva aiuto, è morto. Chi era riuscito ad entrare? Nelle carte del tribunale c'è scritto che la sera del 13 febbraio Marco avrebbe fatto confusione insieme ad alcuni componenti di una squadra di beach volley. Lo trovo molto improbabile. Non si è mai indagato sui  due segni trovati sul collo di mio figlio: fanno pensare a qualcuno che lo avesse preso da dietro. Inspiegabile anche il taglio rinvenuto sopra l'occhio. Vicino a lui c'erano anche delle palline fatte con le molliche di pane in cui sono state trovate tracce di cocaina. Io credo che lo abbiano aggredito, immobilizzato e poi imboccato con la droga. In camera non c'erano altre tracce di stupefacenti eppure fin da subito si è detto che era morto di overdose. Il cameriere che per primo è entrato ha dato due versioni diverse sul perché la porta della camera si fosse bloccata. Non esiste un verbale delle prime persone che sono entrate all'interno. Nel video ripreso dalle forze dell'ordine si vedono almeno una quindicina di uomini, cosa che ha reso impossibile isolare il dna delle persone che potevano essere entrate da Marco. La camera era tutta sottosopra, nel cestino i resti di cibo cinese che mio figlio non aveva mai amato. Non c'era neanche una bottiglia d'acqua: come aveva fatto ad ingurgitare tutta quella cocaina? Dalle foto scattate nell'immediatezza del ritrovamento si vede Marco con i box che gli uscivano fuori dai pantaloni come se lo avessero trascinato. In un'altra si vede con il braccio a protezione del viso, quasi a difendersi da qualcuno. Ma di stranezze ce ne sono tantissime. Sia le numerose telecamere di sorveglianza dell'albergo che quelle della vicina farmacia quel giorno inspiegabilmente non funzionavano. Il medico legale che aveva eseguito l'autopsia si è portato a casa il cuore di mio figlio, custodendolo in frigorifero. Lui specificò che si trattava di un frammento e che lo aveva fatto per evitare un possibile furto. Molto strano, io non ho mai sentito dire che in ospedale rubano dai cadaveri.  Anche se non ho le prove, sono convinta che Marco sia stato ucciso. Forse anche fuori dall'hotel. Ho ricevuto alcune lettere anonime in cui si racconta che la sera prima di morire Marco era stato visto da un'altra parte, con due persone a fianco che lo sorreggevano. Non posso accettare la ricostruzione ufficiale. Dopo la sua morte, per due anni, non ho fatto niente. Poi ho cominciato ad indagare trovando troppe persone che si sono approfittate dell'amore di una mamma. Mi hanno illuso e fatto star male. Io però voglio la verità, vivo oramai solo per questo».

Già nei giorni successivi s'era capito che l'inchiesta giudiziaria era stata frettolosa, condotta maldestramente.  Chi vuole, oggi, può andarsi a rileggere il libro-inchiesta di un giornalista francese, Philippe Brunel -Vie et morte de Marco Pantani - sugli ultimi giorni di Pantani. Un libro pubblicato in Francia nel 2007.

Già in quelle pagine v’erano segnalate manchevolezze nell’indagine: nessuna spiegazione per i resti, in un cestino della camera, di avanzi di cucina cinese mai richiesti da Pantani. Del tutto trascurate le impronte digitali, e anche alcune ferite alla testa di Marco. Scarsa attenzione a un particolare: gran parte della droga, in misura sei volte superiore a un’overdose, era nella bocca di Pantani, quasi qualcuno l’avesse obbligato a mangiarla. Più che inquietante e macabro un episodio rivelato da Brunel, mai smentito: il medico che eseguì l’autopsia si portò a casa il cuore di Pantani e lo nascose in cucina, in una scatola di biscotti.

Sulla verità vera hanno cementato una verità di comodo: overdose, ultima fermata di un campione che non riusciva a vivere senza bicicletta. Quanto ha sofferto questa leggenda del ciclismo di tutti in tempi.

Quando Pantani vinceva alla sua maniera, diceva che la cosa più bella non è vincere, ma restare da soli in salita dopo avere staccato tutti. Dimenticare il pirata è impossibile.