Giù le mani dalla Costituzione. Piuttosto, abbiano la decenza di cestinare il Porcellum e cambiare la legge elettorale. E dimostrino che non sono soltanto marionette agli ordini dei boss della finanza e della grande industria. Stefano Rodotà vota contro le larghe intese: «Stiamo vivendo il grado zero della politica, e in questo vuoto di politica rischia di precipitare l’intera società italiana». Il governo Letta? «Un azzardo politico, e ora ne stiamo pagando il prezzo, prevedibile e elevatissimo». L’esecutivo era nato «fin dall’inizio prigioniero delle smanie di un autocrate», Berlusconi, che l’ha paralizzato con lo stallo infinito sull’Imu, senza contare la speranza di avere uno sconto sulla giustizia, fonte di «fibrillazioni continue». Ricatti incrociati per una partita truccata, «fino a giungere alle indegne vicende dell’ultima fase», col suicidio del Cavaliere e l’evaporazione del Pd, appiattito sulla pura sopravvivenza del governo, «considerando come unico e supremo bene il solo fatto che il governo riuscisse a durare».
In questo modo, scrive Rodotà su “Micromega”, la politica è stata privata di ogni significato, ridotta a pura schermaglia: «Una trama sempre più misera, intessuta di illegittimi interessi personali, con aggressioni a chiunque, persino nella maggioranza o nello stesso governo, cercava di introdurre qualche barlume di ragione», per affrontare la drammatica realtà nella quale l’Italia si dibatte. «Già pesantemente insidiata da una sostanziale sottomissione all’economia e ai suoi diktat, la politica è stata così immersa in un presente senza prospettive, nell’affanno di emergenze di cui non si coglieva più il significato». Così, una politica «fragile fino all’inesistenza» si è “aggrappata” ad una immaginaria grande politica costituzionale: «Poiché questa ha bisogno di tempi più lunghi di quelli scanditi dagli affanni del giorno per giorno, si è pensato che in tal modo il governo avesse contratto una sorta di assicurazione sulla vita. E invece si è di fronte ad una stanca coazione a ripetere, al tentativo di un intero ceto politico ormai in confusione di scaricare tutte le responsabilità della situazione presente sulla Costituzione».
Un diversivo divenuto pericoloso, sostiene Rodotà, perché – senza una riflessione seria, con partiti ridotti a vivere di dispute e regolamenti di conti all’interno di oligarchie – è inevitabile che una riforma costituzionale assuma «un marcato carattere strumentale». Da qui «la manipolazione delle regole di garanzia indicate dalla Costituzione», e anche «la tentazione d’ogni regime debole di cercare una via d’uscita in un accentramento del potere». A questo punto, «un minimo di moralità politica», quasi «un comune senso del pudore» imporrebbe di non nominarli neppure più, in un momento così delicato, i cambiamenti costituzionali evocati, per i quali mancano le condizioni essenziali di condivisione e legittimazione: «Le forze politiche sono divise su tutto, sono prive di vera cultura costituzionale e sono oggetto di una ripulsa da parte dei cittadini, impietosamente confermata da tutte le rilevazioni demoscopiche, che collocano al di sotto del cinque per cento la fiducia nei confronti di partiti e Parlamento». Se davvero si volesse ricostruire un circuito di fiducia tra istituzioni e cittadini, lontano da ipocrisie e convenienze, sarebbe necessario «riportare il nostro sistema politico alla legalità costituzionale», costruendo un’agenda politica capace di orizzonti – lavoro, beni comuni, diritti, Europa democratica – uscendo dallo “stato di necessità” impugnato come alibi permanente.