Di Claudio Romiti
Come è noto, la Commissione europea ha espresso un duro giudizio sulla legge di stabilità, una volta definita legge finanziaria. A suo parere, infatti, mancherebbero all’appello ben 8 miliardi di euro, cosa che un sistema pubblico come il nostro, indebitato fino al collo e in perenne squilibrio finanziario, non può assolutamente permettersi. Soprattutto non possiamo permetterci nessuna politica di bilancio, per così dire, allegrotta se non vogliamo tornare sotto la mannaia di una generalizzata crisi di sfiducia sulla solvibilità di un debito pubblico che continua crescere senza sosta.
A tutto questo il premier Letta ha risposto piccato che di solo rigore si muore. Si, ma di quale rigore d’Egitto stiamo parlando? Di norma nell’ambito di una impresa o di una famiglia per rigore s’intende un uso oculato delle risorse disponibili, cercando il più possibile di eliminare qualunque forma di spreco. In termini molto spiccioli si potrebbe dire di adottare un tenore di vita rigoroso se l’utilizzo della propria vettura venga limitato ai tragitti più lunghi, evitando di consumare il prezioso carburante per recarsi tutti i giorni all’edicola situata a qualche isolato di distanza.
Per una impresa privata che opera sul mercato concorrenziale il rigore non potrebbe mai conuigarsi con l’assunzione di personale in esubero solo per far contento un parente o un amico. Questo è il rigore. Nulla a che vedere con quello italico di Pulcinella che, ahinoi, da molti decenni viene interpretato quasi esclusivamente dal lato delle entrate tributarie allargate. Esso si che tende a mandare in rovina qualunque sistema economico, soffocando con le tasse ogni forma di iniziativa privata. Ma non si tratta di rigore.
L’inasprimento delle imposte che, a partire dagli ultimi tre governi, ha aggravato moltissimo la recessione in atto non risponde affatto ad una politica di rigore, bensì alla vitale necessità per l’attuale sistema politico di salvaguardare un consenso fondato su una spesa pubblica sempre più colossale – soprattutto in rapporto ad un reddito nazionale in continua contrazione – e sempre più fuori controllo. Ciò è dimostrato dal fatto che nè l’ultimo governo Berlusconi, nè quello tecnico di Monti e nè quello delle larghe intese di Letta sono riusciti a tagliare di una virgola la medesima spesa pubblica. Malgrado i tanti proclami altisonanti e la impressionante proliferazione di inutili commissioni ed organismi burocratici ad hoc, è proseguita innarrestabile la nefasta tendenza ad annunciare tagli inesistenti ed a coprire la sempre più corta coperta del bilancio pubblico con aumenti surretizi della pressione fiscale. Ma oramai si è ben compreso che la strada di codesto rigore fasullo, finalizzato unicamente ad illudere il popolo pagatore che oramai si è quasi fuori dal tunnel della crisi, non può che portarci diritti verso il baratro.
Quando una pressione fiscale reale di oltre il 55% del Pil, equivalente all’entità delle uscite pubbliche, non consentirà più di sostenere uno Stato che oramai gestisce ben 810 miliardi di euro all’anno, non saranno più gli ammonimenti della Commissione europea a doverci preoccupare. A quel punto il rumore sinistro degli elicotteri della famigerata Troika avrà già annichilito la irresponsabile demagogia di una classe politica inguaribile. Siamo sempre più inesorabilmente falliti!
Fonte: lindipendenza.com