di Pietro Golia -
Putin, il ribelle, l’irregolare, il ragazzo indisciplinato che fu espulso dai Pionieri, l’organizzazione dei giovani comunisti.
Putin, il futuro ufficiale del Kgb, che fu battezzato in gran segreto dalla nonna. Un uomo che diventerà un attento e colto ufficiale dei servizi segreti, che da ragazzo rifiutava la disciplina, il sistema.
Si vanterà all’inizio della sua presidenza di non essere stato un pioniere, ma un ribelle. Poi scopre il gusto della disciplina, delle arti marziali. Lo judo diventa per lui una filosofia di vita. Lo judo trasforma il ribelle in guerriero. La sua intelligenza si rafforza con il senso della fedeltà all’integrità, del controllo delle sue capacità di riflessione e comunicazione.
Dal suo punto di vista di osservazione, dalla Germania dell’Est è un ufficiale del Kgb molto attento all’Occidente, ai meccanismi del consenso delle democrazie di massa. Ha un eccellente memoria, e questa sua capacità di analisi e di comprensione lo porta ad essere un brillante comunicatore, un uomo capace di dare senso alle sue idee.
Ma questa sua identità, di ribelle, di guerriero, di analista, di comunicatore, di attento lettore che sedimenta idee, stimoli culturali, ne fanno un uomo che sa decidere. Un decisore nel senso schmittiano del termine. Un politico rispettoso delle identità, delle etnie, delle tradizioni, di un pensiero politico che rielabora, attualizza i temi della Rivoluzione Etica.
L’implosione del sistema sovietico e gli anni terribili della Presidenza Eltsin in balia di ex quadri del sistema comunista trasformatisi in oligarchi mafiosi finanziati dalle banche americane, che trasformarono le privatizzazioni in una colossale rapina ai danni del popolo russo, convinsero lui e alcuni suoi stretti collaboratori della svolta “imperiale” (nel senso di Imperium), popolare e patriottica della politica russa.
Dopo l’ascesa al potere cerca di aprire agli Stati Uniti e all’Europa. Al Bundestag tiene un discorso memorabile di grande apertura e amicizia verso l’Europa. È solidale con Bush nella lotta al terrorismo ma presto dovrà rendersi conto che gli americani sono impegnati a indebolire l’assetto geopolitico del suo Paese. E a questo punto si convince che nessun rapporto leale è possibile con americani ed europei poco affidabili e soprattutto ipocriti. Da qui la svolta euro-asiatica del leader russo e il progetto di fare della Russia una grande potenza mondiale in grado di contenere i tentativi americani di indebolire Mosca dal Kirghizistan alla Georgia, all’Ucraina.
Le rivoluzioni arancioni per Putin sono dei tentativi di destabilizzazione che pretenderebbero di radicarsi persino nel cuore della Russia.
L’egemonismo euro-atlantico arriva al punto che Angela Merkel, prima delle elezioni del 2012, afferma che Dmitri Medvedev sarebbe un candidato alla Presidenza ben visto in Occidente. A Mosca oltre duecento Ong (organizzazioni non governative), finanziate dagli americani s’ingegnano a creare un clima di opposizione alla candidatura di Putin, che dopo la parentesi Medvedev imposta dalla Costituzione intendeva riprendersi la Presidenza. Sarà la goccia che fa traboccare il vaso della diffidenza putiniana. Americani ed europei pretendono persino di decidere i vertici istituzionali della Nuova Russia.
Inizia per Putin un lavoro di riflessione e di approfondimento culturale che lo porterà a recuperare negli anni Novanta la figura di Stolypin e a rielaborare un pensiero identitario dalle forti connotazioni etiche, politiche e religiose. Idee che in Europa, oggi, risuonano provocatorie, incomprensibili e incredibili. Idee che, però, avvicinano alla Russia di Putin sempre nuove maggiori simpatie ed affinità elettive.