Ora è UFFICIALE: Ilaria Alpi fu uccisa dalla CIA. Il vergognoso silenzio generale...
a cura di nocensura.com
Adesso è praticamente certo. A distanza di oltre 20 anni - ventuno, per la precisione - dall'omicidio, a Mogadiscio, della coraggiosa giornalista del TG3, Ilaria Alpi, che aveva 33 anni, e del cameraman che l'accompagnava, Miran Hrovatin, emerge la verità.Furono i servizi segreti statunitensi, con l'ausilio di quelli italiani.
Che l'omicidio della giornalista fosse legato a qualche trama oscura, in molti lo sostenevano sin dall'inizio, anche per le modalità dell'omicidio. In molti sospettavano che Ilaria avesse scoperto qualcosa che non doveva, e infatti è andata proprio così.
Come nel caso di Ustica, i tentativi di insabbiare tutto sono riusciti a posticipare l'emergere della verità, ma alla fine questa è venuta a galla.
La cosa vergognosa, o meglio la vergogna nella vergogna, è il silenzio mediatico sulla vicenda: non ne ha parlato praticamente NESSUNO!
L'unica testata giornalistica ad aver riportato la notizia nel modo dovuto, è Il Manifesto,con un ottimo articolo di Manlio Dinucci, di cui vi consigliamo la lettura:
La docufiction «Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio» getta luce, soprattutto grazie a prove scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi, sull’omicidio della giornalista e del suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Furono assassinati, in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani, perché avevano scoperto un traffico di armi gestito dalla Cia attraverso la flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca.In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, insieme a navi della Lettonia, per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia. (...) LEGGI TUTTO
Ilaria Alpi è stata uccisa perché era una giornalista VERA, una reporter che si era recata sul posto, in Somalia, per raccontare la guerra, e non per commentare le veline propagandistiche trasmesse dagli uffici stampa militari, e prese come "oro colato" dai giornalisti servi, ormai praticamente la totalità.
In passato in RAI ci hanno lavorato dei giornalisti molto validi: oltre ad Ilaria Alpi, merita menzione Silvestro Montanaro, il più grande documentarista italiano, che curava "C'era una volta", e che è stato incredibilmente escluso nel 2013. Montanaro è stato autore di numerose inchieste scomode, come Predatori Globali, un documentario che mette sotto accusa potenti multinazionali come Coca Cola e Nestlé.
Purtroppo in questa società i giornalisti in gamba non fanno strada, vengono ostacolati in tutti i modi, e laddove i metodi "soft" falliscono, talvolta vengono uccisi.
Staff nocensura.com
DI MANLIO DINUCCI – ilmanifesto.info
La docufiction «Ilaria Alpi – L’ultimo viaggio» (visibile sul sito di Rai Tre) getta luce, soprattutto grazie a prove scoperte dal giornalista Luigi Grimaldi, sull’omicidio della giornalista e del suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. Furono assassinati, in un agguato organizzato dalla Cia con l’aiuto di Gladio e servizi segreti italiani, perché avevano scoperto un traffico di armi gestito dalla Cia attraverso la flotta della società Schifco, donata dalla Cooperazione italiana alla Somalia ufficialmente per la pesca.
In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shifco erano usate, insieme a navi della Lettonia, per trasportare armi Usa e rifiuti tossici anche radioattivi in Somalia e per rifornire di armi la Croazia in guerra contro la Jugoslavia.
Anche se nella docufiction non se ne parla, risulta che una nave della Shifco, la 21 Oktoobar II (poi sotto bandiera panamense col nome di Urgull), si trovava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una operazione segreta di trasbordo di armi statunitensi rientrate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si consumò la tragedia della Moby Prince in cui morirono 140 persone.
Sul caso Alpi, dopo otto processi (con la condanna di un somalo ritenuto innocente dagli stessi genitori di Ilaria) e quattro commissioni parlamentari, sta venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ilaria aveva scoperto e appuntato sui taccuini, fatti sparire dai servizi segreti. Una verità di scottante, drammatica attualità.
L’operazione «Restore Hope», lanciata nel dicembre 1992 in Somalia (paese di grande importanza geostrategica) dal presidente Bush, con l’assenso del neo-presidente Clinton, è stata la prima missione di «ingerenza umanitaria».
Con la stessa motivazione, ossia che occorre intervenire militarmente quando è in pericolo la sopravvivenza di un popolo, sono state lanciate le successive guerre Usa/Nato contro la Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, la Siria e altre operazioni come quelle in corso nello Yemen e in Ucraina.
Preparate e accompagnate, sotto la veste «umanitaria», da attività segrete. Una inchiesta del New York Times (24 marzo 2013) ha confermato l’esistenza di una rete internazionale della Cia, che con aerei qatariani, giordani e sauditi fornisce ai «ribelli» in Siria, attraverso la Turchia, armi provenienti anche dalla Croazia, che restituisce così alla Cia il «favore» ricevuto negli anni Novanta.
Quando il 29 maggio scorso il quotidiano turco Cumhuriyet ha pubblicato un video che mostra il transito di tali armi attraverso la Turchia, il presidente Erdogan ha dichiarato che il direttore del giornale pagherà «un prezzo pesante».
Ventun anni fa Ilaria Alpi pagò con la vita il tentativo di dimostrare che la realtà della guerra non è solo quella che viene fatta apparire ai nostri occhi.
Da allora la guerra è divenuta sempre più «coperta». Lo conferma un servizio del New York Times (7 giugno) sulla «Team 6», unità supersegreta del Comando Usa per le operazioni speciali, incaricata delle «uccisioni silenziose». I suoi specialisti «hanno tramato azioni mortali da basi segrete sui calanchi della Somalia, in Afghanistan si sono impegnati in combattimenti così ravvicinati da ritornare imbevuti di sangue non loro», uccidendo anche con «primitivi tomahawk».
Usando «stazioni di spionaggio in tutto il mondo», camuffandosi da «impiegati civili di compagnie o funzionari di ambasciate», seguono coloro che «gli Stati uniti vogliono uccidere o catturare».
Il «Team 6» è divenuta «una macchina globale di caccia all’uomo». I killer di Ilaria Alpi sono oggi ancora più potenti. Ma la verità è dura da uccidere.
Manlio Dinucci
Fonte: http://ilmanifesto.info