Il Cesio 137 minaccia di inquinare per sempre la falda da cui attinge l'acqua una delle città più ricche del Paese. La stessa sostanza trovata anche ad Amantea, in Calabria Potrebbero già essere entrate in contatto con il sottosuolo le polveri di alluminio contaminato che un trafficante senza scrupoli ha abbandonato nell'ex cava Piccinelli ai tempi di Tangentopoli
Un veleno silenzioso e immortale minaccia di inquinare per sempre la falda da cui attinge l'acqua una delle città più ricche del Paese. Sotto un sottile strato di terreno, nascosti e dimenticati in una cava dismessa alle porte di Brescia, riposano 2mila metri cubi di scorie nucleari che rischiano di entrare in contatto con le acque del sottosuolo. Sono polveri di fusione dell'alluminio contaminate dal Cesio 137, un sottoprodotto della fissione nucleare che continuerà a emettere radiazioni per i prossimi 300 anni.
Come siano arrivate nel cuore della Lombardia è una vecchia storia di cui la popolazione non sa nulla, ma che gli imprenditori dell'acciaio e i funzionari pubblici conoscono e custodiscono nel segreto. Succedeva spesso dopo il crollo del Muro, quando il gioco era accaparrarsi a tutti i costi i rottami convenienti dell'ex Unione Sovietica e nei consigli di amministrazione delle acciaierie bresciane cominciavano a sedere misteriosi intermediatori dell'Est Europa. Erano i primi anni '90, in piena Tangentopoli, e forse bisognava far sparire la scomoda eredità di un incidente radioattivo provocato da una partita di alluminio contaminato: qualche trafficante senza scrupoli ha scelto una cava dalla storia oscura, già colma di rifiuti speciali pericolosi e tossico-nocivi, l'ex cava Piccinelli.
Un buco di 4 anni
Gian Paolo Oneda, il geologo dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpa), non nasconde la sua preoccupazione. Tra i tanti isotopi radioattivi, il Cesio 137 è quello più solubile. Come se non bastasse, il sottosuolo nei pressi dell'ex cava Piccinelli è «un acquifero unico», senza strati d'argilla a protezione della falda profonda, da cui pescano l'acqua i pozzi dell'acquedotto.
Se il Cesio 137 si sciogliesse nelle acque non vi sarebbero barriere tra l'acquedotto della città, gestito dalla multiutility A2A, e la massa delle polveri radioattive. «Le ultime analisi sulle acque di falda hanno confermato l'assenza di radioattività», assicura il direttore dell'Arpa di Brescia Giulio Sesana. Ma cosa possa essere accaduto negli anni scorsi non sa dirlo nessuno, perché mancano i dati. C'è un buco di 4 anni nei campionamenti, tra il 2007 e il 2011, proprio nel momento in cui la falda di Brescia è risalita di 4 metri. Tanto da costringere l'Agenzia per l'ambiente nel 2011 a lanciare un allarme agghiacciante: «Non si può escludere che la contaminazione radioattiva sia stata ormai sommersa dalle acque sotterranee».
Ora i calcoli, basati sui dati di una discarica vicina, dicono di no. Per pochi centimetri. Ma la minaccia più grave, più che dal sottosuolo, potrebbe venire dal cielo. I teli in Pvc posati sul piazzale dall'Enea nel 1999, che servivano a evitare che l'acqua piovana si infiltrasse nel terreno, a distanza di 15 anni sono diventati così fragili che «basta toccarli perché si frantumino». Erano pensati per durare al massimo due anni. E siccome l'acqua scorre ormai anche sotto i teli, sul terreno radioattivo sono cresciuti alberi ad alto fusto che hanno riempito di sedimenti l'unico pozzo di scolo delle acque: rami e foglie di piante che non sarebbero mai nemmeno dovute crescere. E che nessuno si è curato di togliere. Un pericolo «concreto e attuale» secondo i tecnici della Regione Lombardia, che potrebbe avverarsi in qualsiasi momento.
A un passo dal disastro
La manutenzione e la bonifica del sito spettano al Comune di Brescia, ma la giunta di Adriano Paroli (PdlLega), che in quell'area sognava di costruire il nuovo stadio, ha lasciato che la situazione arrivasse a un passo dal disastro. Ormai basta una pioggia un po' più intensa perché le zone radioattive rischino di rimanere sommerse proprio nel punto in cui la contaminazione è maggiore: appena sotto i teli, dove le polveri raggiungono 1.055.000 Becquerel/kg (più di mille volte oltre il limite di legge per i terreni). Una situazione che ha spinto l'Asl a chiedere al sindaco di mettere subito in campo «ogni intervento d'urgenza a tutela della salute pubblica» dei suoi 200mila concittadini: ma il sindaco di Brescia, ex parlamentare del Pdl, ha affidato una consulenza da 9mila euro a uno studio legale milanese affinché trovi il modo di cavarlo dall'impaccio ed evitare una bonifica di «qualche milione di euro».
Agli ultimi incontri in Prefettura è stato chiesto l'intervento dei tecnici dell'Ispra, l'ente di ricerca del Ministero dell'Ambiente, che sull'argomento mantengono il massimo riserbo. Brescia, che già vive a contatto con l'inquinamento chimico da diossine e Pcb causato dall'industria «Caffaro», sembra non volerne sapere di questo ennesimo allarme ambientale. Ma anziché con un nuovo stadio, domani la città potrebbe risvegliarsi nel bel mezzo di un incubo radioattivo.
Fonte: http://www.bresciapoint.it/index.php?option=com_zoo&task=item&item_id=7449&Itemid=265