di Gianni Lannes
C’è un non-luogo preciso dove il civile Occidente concentra la gran parte dei suoi malati mentali: la prigione. Nei paesi ecomicamente "ricchi" (ma poveri spiritualmente), infatti, un detenuto ogni sette è affetto dalle cosiddette "malattie psichiche gravi" o da una "forte depressione" (con forte rischio di suicidio).
Lo Stato della follia. In Italia in media 1.500 “matti” che hanno commesso reati sono rinchiusi dentro le sbarre, ma non hanno mai avuto un processo. E’ un’abnormità, unica in Europa. Questa non è una galera qualsiasi. E’ l’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, uno dei sei che in Italia imprigionano tanti esseri umani. Gli altri reclusori sono a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Napoli, Aversa, Montelupo Fiorentino, Castiglione delle Stiviere, il solo femminile. Opg, nei documenti ufficiali: sigla che ha sostituito la vecchia definizione di manicomio criminale. L’unico cambiamento determinato in questo mondo dalla riforma psichiatrica, dalla cosiddetta legge Basaglia (numero 180 del 1978).
Restano sul piano formale le norme con cui nel 1903 un Regio Decreto istituì queste prigioni in cui devono stare i "matti" che hanno commesso reati. Sono ancora in vigore norme previste dal codice Rocco del 1931. Quanto basta per dare all’Italia il primato di unico paese in Europa con reclusori del genere, condannati dall’Onu e dalla Commissione europea per i diritti umani. A Reggio la metà dei ricoverati ha commesso omicidi. Ma l’altro 50 per cento è formato da ragazzi e uomini che hanno commesso piccoli reati come incendiare un cassonetto, oppure a oltraggiare a parole la forza pubblica.
Ora il Parlamento ha varato una legge che ha rinviato di un anno - al primo aprile 2014 - la chiusura degli Opg. Le Regioni devono presentare un piano di misure alternative all'internamento dei soggetti, termine che era stato stabilito per il 15 maggio 2013: pena l'entrata in scena di un "commissario unico". Ovviamente le regioni sono tutte inadempienti.
Il lasciapassare per l’inferno manicomiale è il giudizio di pericolosità sociale che il giudice può ricavare dalla perizia psichiatrica disposta o dalla valutazione dei fatti e delle circostanze inerenti il reato. Un nullaosta che può trasformarsi in una detenzione senza fine. Perché, al termine di ogni periodo previsto per la misura di sicurezza, una nuova perizia psichiatrica può disporre altri sei mesi di internamento. In tali situazioni i magistrati detengono un potere ingiustificato, e spesso commettono abusi, ma non pagano mai le conseguenze dei loro soprusi.
Fatto sta che la non ragione di esistere degli Opg viene sottolineata persino nelle poche righe dedicata all’argomento dall’Enciclopedia Garzanti del diritto: “La pericolosità sociale di questi soggetti è presunta… Tale meccanismo appare del tutto assurdo… Dubbi notevoli suscita la stessa possibilità di svolgere opere di cura e rieducazione in strutture quali gli ospedali considerati. Se infatti la legge 180, con la cosiddetta chiusura dei manicomi, ha di fatto sancito che la struttura manicomiale non solo non è in grado di curare, ma spesso diviene addirittura causa o aggravamento delle malattie mentali, non si vede come tale principio, relativo alle cure dei malati di mente non criminali, non debba valere per i soggetti prosciolti per infermità psichica. Si deve quindi ritenere che l’ospedale psichiatrico giudiziario, lungi dallo svolgere la benché minima opera curativa, abbia avuto e conservi lo specifico compito di isolare, segregandoli in condizioni spesso disumane, soggetti ritenuti devianti”.
Un mondo a parte. Perché? "Se fuori ci fossero le strutture idonee per assisterli, il 60 per cento dei nostri ricoverati potrebbe uscire tranquillamente, ma non c’è nulla", ammette un addetto ai lavori. I detenuti di questo strano universo dietro le sbarre sono assieme colpevoli e innocenti. Non punibili ma segregati.
Un mondo a parte. Perché? "Se fuori ci fossero le strutture idonee per assisterli, il 60 per cento dei nostri ricoverati potrebbe uscire tranquillamente, ma non c’è nulla", ammette un addetto ai lavori. I detenuti di questo strano universo dietro le sbarre sono assieme colpevoli e innocenti. Non punibili ma segregati.
La legge dice che sono rinchiusi in sei ospedali-carcere per essere riabilitati. E invece. Gli Opg continuano ad esistere e si fa ricorso alla contenzione. Si chiamano ospedali ma sono carceri con le celle, le sbarre, le porte di ferro, la luce che si accende e la feritoia che sbatte per il controllo alle tre di notte, e di giorno i cortili per l’aria, in alto gli agenti che imbracciano che imbracciano il mitra. Architetture carcerarie. E regolamenti delle patrie galere.
Entri ad Aversa, sopra Napoli, primo manicomio criminale italiano nel 1872 e vedi un brullo campo di pallone. Quando arrivi nei reparti e nelle celle, i più ti si fanno addosso per parlare. E i brandelli di racconti che metti insieme sono sempre su un passato cui tentano di dare un senso e una spiegazione, o su un futuro la cui incertezza deprimerebbe qualsiasi individuo. Uno dei più tranquilli dice che gli mancano le donne. Il vicedirettore, quando gli chiedi come risolvono il problema della sessualità, ti risponde che i farmaci neurolettici riducono le pulsioni. Vai a Montelupo Fiorentino e ti trovi in una villa medicea del ‘400: splendida, a castelletto, fregi, affreschi, giardino. Ma nella villa ci sono uffici e caserma, gli internati stanno nelle ex stalle e negli alloggi della servitù. “Aria è l'aria che mi manca” ti racconta un anziano dalla barba rossa, da 10 anni. Già, l’aria chi gliela dà in quei cortiletti dieci metri per venti, uno per reparto?
Entri ad Aversa, sopra Napoli, primo manicomio criminale italiano nel 1872 e vedi un brullo campo di pallone. Quando arrivi nei reparti e nelle celle, i più ti si fanno addosso per parlare. E i brandelli di racconti che metti insieme sono sempre su un passato cui tentano di dare un senso e una spiegazione, o su un futuro la cui incertezza deprimerebbe qualsiasi individuo. Uno dei più tranquilli dice che gli mancano le donne. Il vicedirettore, quando gli chiedi come risolvono il problema della sessualità, ti risponde che i farmaci neurolettici riducono le pulsioni. Vai a Montelupo Fiorentino e ti trovi in una villa medicea del ‘400: splendida, a castelletto, fregi, affreschi, giardino. Ma nella villa ci sono uffici e caserma, gli internati stanno nelle ex stalle e negli alloggi della servitù. “Aria è l'aria che mi manca” ti racconta un anziano dalla barba rossa, da 10 anni. Già, l’aria chi gliela dà in quei cortiletti dieci metri per venti, uno per reparto?
La popolazione italiana ritiene che non esistano più. Che la legge Basaglia sia riuscita a cancellare anche quest’ultimo orrore. E invece no. Nel nostro Paese gli ospedali psichiatrici giudiziari sono ancora una tragica realtà. Ignorata, o meglio rimossa, ma un'altra dimensione apparentemente irreale, ingombrante, impresentabile per qualunque Paese civile.
Socialmente pericolosi: il coraggioso documentario di Fabrizio Lazzaretti (andato in onda nella notte di Raitre nel maggio 2002) dedicato ad uno dei manicomi criminali più antichi d’Italia, il Filippo Saporito di Aversa, che ancora oggi ospita detenuti. “Qui dentro - racconta Claudio Misculin, attore dell’Accademia della Follia - ci sono alcuni feroci assassini, altri che hanno l’unica colpa di essere incompatibili con la nostra organizzazione sociale e altri ancora che non sanno neanche perché sono qui”. Massimo per esempio. E’ in isolamento da un tempo infinito perché è considerato un elemento pericoloso. Guardie carcerarie senza nessuna formazione specifica: sono programmati per reprimere e custodire, è il loro mestiere. Letti di contenzione, legacci alle mani e ai piedi, continue iniezioni. “Massimo è uno dei tanti che, - come spiega un magistrato di sorveglianza - è costretto a rimanere lì perché le strutture di sostegno previste dalla 180, case famiglia, eccetera, esistono soltanto in alcune regioni pilota”. Quindi in tanti sono costretti a restare rinchiusi, dimenticati, vittime della follia e della normalità.
Socialmente pericolosi: il coraggioso documentario di Fabrizio Lazzaretti (andato in onda nella notte di Raitre nel maggio 2002) dedicato ad uno dei manicomi criminali più antichi d’Italia, il Filippo Saporito di Aversa, che ancora oggi ospita detenuti. “Qui dentro - racconta Claudio Misculin, attore dell’Accademia della Follia - ci sono alcuni feroci assassini, altri che hanno l’unica colpa di essere incompatibili con la nostra organizzazione sociale e altri ancora che non sanno neanche perché sono qui”. Massimo per esempio. E’ in isolamento da un tempo infinito perché è considerato un elemento pericoloso. Guardie carcerarie senza nessuna formazione specifica: sono programmati per reprimere e custodire, è il loro mestiere. Letti di contenzione, legacci alle mani e ai piedi, continue iniezioni. “Massimo è uno dei tanti che, - come spiega un magistrato di sorveglianza - è costretto a rimanere lì perché le strutture di sostegno previste dalla 180, case famiglia, eccetera, esistono soltanto in alcune regioni pilota”. Quindi in tanti sono costretti a restare rinchiusi, dimenticati, vittime della follia e della normalità.
I sei Opg italiani, con il loro migliaio e passa di prigionieri sopravvivono in un’inquietante zona d’ombra, mantenuti in quest’oblio da una rimozione collettiva del problema. Queste strutture si chiamano ospedali solo sulla carta, ma sono a tutti gli effetti carceri con celle, sbarre e controlli della polizia penitenziaria.
L’Opg nasce all’interno del sistema penitenziario come luogo di detenzione dei detenuti impazziti in carcere. Nel 1884 la Direzione generale delle carceri diede stabile assetto alla cosiddetta sezione maniaci di Aversa, trasformandola in un manicomio criminale. In seguito la funzione servente al sistema processuale e penale si precisa definitivamente nel 1931 con il codice penale di Alfredo Rocco, che crea le categorie della pericolosità sciale e della misura della sicurezza e, quali istituti per eseguire quest’ultima, le colonie agricole, le case di lavoro e il manicomio giudiziario.
Gli Opg, del resto, dipendono dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria presso il ministero di Grazia e Giustizia. Negli ospedali psichiatrici giudiziari si entra per effetto di una perizia psichiatrica che definisce il soggetto incapace, senza che ne sia stata dimostrata la colpevolezza. A quel punto, attraverso un diabolico meccanismo di successive proroghe della misura, di sei mesi o un ano alla volta, decise dal magistrato di sorveglianza, si può entrare in una condizione di pena definitiva. Insomma, a differenza dei soggetti “sani di mente” condannati a pena detentiva, ai quali viene concessa in sede di esecuzione la possibilità di usufruire di benefici e facilitazioni al fine di un reinserimento sociale, a coloro che, per infermità psichica, sono stati prosciolti dal reato, tale possibilità appare crudelmente negata.
Così l’incontro tra la necessità detentiva legata alla condizione di pericolosità sociale per il reato commesso e l’esigenza di cura e riabilitazione si risolve in un micidiale cortocircuito che si autoalimenta. L’istituto della non imputabilità del malato di mente corrisponde dunque a minori garanzie. difensive. Questo quadro di particolare gravità e degenerazione è confermato dalle conclusioni dell’indagine conoscitiva sulla situazione sanitaria nelle carceri, condotta dalla commissione igiene e sanità del senato nella XI legislatura: “Negli ospedali psichiatrici giudiziari è acuta la contraddizione tra funzione sanzionatoria da un lato e funzione riabilitativa o curativa dall’altro. … Si tratta di una popolazione di utenti che, a causa del proprio stato, sono privati di qualsiasi capacità contrattuale di fronte all’apparato penitenziario”. Le sentenze della Corte costituzionale del 1982 e del 1983 dichiarano l’incostituzionalità della presunzione assoluta di durata della pericolosità sociale e respingono il principio di immutabilità, quanto a natura e intensità dell’infermità psichica, ammettendo la positiva evoluzione di questa malattia.
Tutt’oggi gli Opg, che già dal 1999 sarebbero dovuti passare sotto la competenza del ministero della sanità, dipendono ancora dal ministero di Grazia e Giustizia.
Allarme degli psichiatri: "Se gli Opg saranno chiusi 800 malati gravi senza assistenza".
Dal 1 aprile 2014 tutti gli Ospedali psichiatrici giudiziari dovranno essere dismessi. Ma il nostro Paese, secondo la Società italiana di psichiatria, è impreparato ad accogliere i malati.
Mini Opg - Un affarone politico. La nuova Legge precisa gli impegni di Regioni e Asl: obbligo di presa in carico (dei malati) all'interno di progetti terapeutico-riabilitativi individuali che assicurino il diritto alle cure e al reinserimento sociale, nonché a favorire l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario (come prevedono sentenze della Corte Costituzionale). Sempre la nuova legge stabilisce che il Governo, entro sei mesi, dovrà riferire in Parlamento sui programmi regionali per superare gli Opg. In particolare si dovrà verificare “il grado di effettiva presa in carico dei malati da parte de Asl/Dipart imenti Salute Mentale) e del conseguente avvio dei programmi di cura e di reinserimento sociale”.
Ma cosa sta succedendo in realtà? Alcune Regioni (ad esempio la Lombardia ma non solo) hanno presentato programmi finalizzati in prevalenza all’ apertura di strutture
residenziali "speciali” dove eseguire la misura di sicurezza: rischiamo di ritrovarci con tanti piccoli manicomi regionali (i “mini OPG”). E invece di essere residuali, queste strutture speciali diventano la soluzione principale: il nuovo Opg. Aprendo così, tra l’altro, seri problemi circa l’eventuale utilizzo, del tutto improprio, di personale sanitario dei Dipartimenti di Salute Mentale in funzioni anche “detentive”. Invece i programmi regionali devono, come dice ora la legge, favorire le dimissioni e l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in Opg. Spetta al Ministero della Salute valutare i programmi regionali.
Dichiarano gli esperti Stefano Cecconi, Giovanna Del Giudice, Denise Amerini: «Abbiamo chiesto al Ministro Lorenzin un incontro urgente. Nel Viaggio con Marco Cavallo abbiamo detto che chiudere gli OPG significa fare buona assistenza nel territorio per la salute mentale per tutti i cittadini, come ha stabilito la legge 180, e come è successo dove i servizi di salute mentale sono visibili, attraversabili e vicini: con la "presa in carico” delle persone e dei loro familiari, con Centri di salute mentale accoglienti, aperti 24 ore e integrati con i servizi comunitari del territorio, con la progettazione di forme abitative sostenute, di formazione al lavoro e di inclusione lavorativa e sociale. Sappiamo che per abolire definitivamente la logica manicomiale, cioè un trattamento speciale per i “folli autori di reato”, diverso da quello usato verso i “cittadini sani”, bisogna cambiare il codice penale. Ma intanto oggi si possono superare gli Opg e scongiurare l'apertura al loro posto di “mini Opg”. E proprio oggi serve richiamare lo “spirito originale” della legge 180 che, chiudendo i manicomi, restituì dignità e cittadinanza alle persone malate di mente, e rese migliore l’Italia.