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https://ivdp.it/licona-del-nuovo-ordine-mondiale/
https://sfero.me/article/-icone-du-nouvel-ordre-mondial?fbclid=IwAR1SDxrrv7Px8xO42bJ_TM3GcCZAkXieDZfdBsizdbiHzDT8_EZHX3rIy6c
VEDI ANCHE L'ARTICOLO DI MAURIZIO BLONDET: https://www.maurizioblondet.it/bergoglio-protagonista-del-grand-reset/
"Credo che la presenza di Bergoglio in Vaticano abbia grandi influenze sugli assetti geopolitici ed economici mondiali. Questo perché Bergoglio ha fatto una scelta di campo ben precisa: ha contratto un’alleanza con i maggiori esponenti della finanza internazionale e con le élite del farmaco che, in questi ultimi anni, hanno fortemente condizionato le scelte politiche di ogni Paese, svuotando, di fatto, le democrazie di quei diritti che una volta erano ritenuti fondamentali e, dunque, inviolabili. Uno dei primi Stati a violare il diritto naturale è stato proprio lo Stato vaticano, il quale ha operato da apripista nell’ambito delle politiche pandemiche (obbligo vaccinale e green pass!), seguito dall’Italia. Porsi come guida morale dei sedicenti guardiani del Capitalismo Inclusivo è una scelta di campo molto chiara: vuol dire appoggiare il nuovo socialismo capitalistico globalista, sintetizzato nello slogan di Davos «Non possederai nulla e sarai felice». Nel 2014, Bergoglio inviò un messaggio al WEF (World Economic Forum) tramite il Card. Peter Turkson, dove esaltava l’approccio inclusivo (QUI), principio incarnato l’8 dicembre 2020 nel Capitalismo Inclusivo e che lo vede «guida morale» del «Consiglio guidato da un nucleo di leader globali, noti come Guardiani del capitalismo inclusivo», leader che «rappresentano oltre 10.500 miliardi di dollari di asset in gestione, aziende con una capitalizzazione di mercato di oltre 2.100 miliardi di dollari e 200 milioni di lavoratori in oltre 163 Paesi» (QUI). Nell’enciclica Laudato si’ emergono altri segnali molto chiari che confermano questa scelta di campo. Al par. 193, con una certa ambiguità tipicamente gesuitica, si parla di «sviluppo sostenibile» e della necessità di una decrescita: «È arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo». Decrescita, però, vuol dire deindustrializzazione, riduzione della produzione e dei consumi e, quindi, disoccupazione, condizione economico-sociale che intacca la dignità dell’uomo. La risposta adeguata all’inquinamento non è la decrescita ma l’internalizzazione delle esternalità negative, cioè, l’iscrizione nel bilancio delle grandi aziende multinazionali dei costi sociali e ambientali generati dall’inquinamento da queste prodotto. Il tema della decrescita – rilanciato qualche anno fa da Serge Latouche con La scommessa della decrescita – è stato coniato negli anni Settanta dagli economisti del Club di Roma, noto think tank di ispirazione neomalthusiana, i cui principii sono alla base del Great Reset implementato dal WEF di Davos e dai suoi Young Leaders infiltrati in ogni Paese, istituzione con cui Bergoglio sembra aver stretto forti legami. La tesi di fondo del Club di Roma può riassumersi così: la crescita esponenziale della popolazione e lo sfruttamento delle risorse associato porteranno presto ad una caduta dello sviluppo entro i prossimi cento anni (siamo nel 1973!). Di qui la necessità di moderare i tassi di sviluppo demografici e industriali, al fine di garantire un equilibrio globale che possa soddisfare equamente il potenziale umano di ognuno. In tale contesto, il concetto di decrescita si apre alla riduzione della forza lavoro sia in chiave occupazionale che demografica.
Che tipo di legami ci sarebbero tra Bergoglio e Schwab?
Filosofici e teologici, oltre che fraterni. Sembra sussistere una vera e propria comunione d’intenti tra Bergoglio e Schwab. L’ex arcivescovo di Buenos Aires e il teorico della Quarta rivoluzione industriale sono entrambe “figli spirituali” di Dom Hélder Câmara, allora vescovo di Olinda e Recife (Brazile). Câmara era chiamato il “vescovo rosso”. Fu uno dei padri della teologia della liberazione, ossia il marxismo in teologia. Klaus Schwab, durante un’intervista, disse che rimase folgorato dal suo incontro con Câmara, definendo quell’incontro “cruciale” per la sua vita. Racconta: «Le faccio un esempio che per me è stato probabilmente un momento cruciale della mia vita. Ho viaggiato per la prima volta in Brasile, ho incontrato un sacerdote che all’epoca era conosciuto come il sacerdote dei poveri, il suo nome era dom Hélder Câmara» (QUI). Nel 1974 Câmara fu invitato al World Economic Forum, dove invocò una maggiore responsabilità sociale e una distribuzione più equa della ricchezza. Bergoglio si è spesso richiamato alla figura di Câmara (QUI), dando addirittura nel 2015 il suo placet per il processo di «beatificazione». La teologia della liberazione è stata sempre avversata dalla Chiesa, in quanto alcune sue tesi si sono mostrate erronee e pericolose. Ed oggi vediamo con maggiore chiarezza dove ci stanno portando questi errori: verso l’ateismo panteistico e il totalitarismo. Dal marxismo in teologia al liberismo in teologia, il passo è breve. Liberismo e marxismo, per quanto possano sembrare differenti, non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Entrambe sono affetti da un messianismo materialistico ateo che fa dell’uomo il dio di se stesso, un dio senza Dio, oltre che dalla stessa idea di progresso e dalla medesima visione positivista del mondo. Non stupisce, dunque, l’appoggio di Bergoglio sia alle posizioni di Câmara sia a quelle di Davos e al Capitalismo Inclusivo delle élite finanziarie, tra cui Rothschild, Rockefeller, etc., una volta considerati i grandi oppositori occulti del cattolicesimo. Anche dal punto di vista geopolitico, per quanto Bergoglio si sia mostrato disponibile ad una mediazione per la crisi ucraina, ha sempre criticato aspramente Putin, prendendo le difese dell’Ucraina, fino a baciare la bandiera ucraina della Centuria Cosacca di Maidan – l’unità di combattenti nazisti che incendiò di violenza piazza Maidan nel 2013-2014 – e a inviare una propria nave per riportare a casa i militari NATO insieme al battaglione nazista Azov. Si trattava di circa tremila persone rintanate nelle acciaierie di Azovstal, che i russi volevano stanare con le idrovore.
L’azione politica di Bergoglio quanto incide sui progetti globalisti di Davos? Le politiche pandemiche, lo sviluppo sostenibile, l’Agenda 2030 e le politiche green, quanto devono il loro successo al vescovo argentino?
Credo che tali politiche non avrebbero avuto vita facile con Benedetto XVI. Nel suo discorso del 19 gennaio 2013, disse: «Il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio. Mi riferisco soprattutto ad una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un “prometeismo tecnologico”. Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea. Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno. Nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata. L’insidia più temibile di questa corrente di pensiero è di fatto l’assolutizzazione dell’uomo: l’uomo vuole essere ab-solutus, sciolto da ogni legame e da ogni costituzione naturale». Riduzione antropologica, materialismo edonista, prometeismo tecnologico, antropologia atea, politica demografica, manipolazione legittimata, uomo ab-solutus. Sono i tratti caratteristici della visione liberal-globalista di cui il World Economic Forum di Davos è espressione e di cui Bergoglio è guida morale e immagine sintetica nella Chiesa cattolica.
Perché le élite globaliste potessero attuare il loro progetto era necessario che sul soglio di Pietro salisse un grande umanitario, atlantista, europeista, pacifista, salutista, vaccinista («Vacunarse es un acto de amor», «negazionismo suicida»), ecologista, ecumenista, filonazista (?), liberal-marxista, amico dei potenti e sostenitore dei diseredati, ardente attivista sociale pro-gender, giustiziere contro ogni sorta di fondamentalismo cattolico, inclusivista a 360°, teologicamente liquido. In altre parole, era necessario un vescovo woke che potesse far implodere la fortezza nemica dall’interno. Sembra che tale progetto fosse stato pensato già negli anni Settanta.
Nel 1973, alcuni studiosi del MIT, su richiesta del Club di Roma, pubblicano il volume Toward Global Equilibrium, tradotto in Italia dalle Edizioni Scientifiche e Tecniche Mondadori, con il titolo I limiti dello sviluppo. Verso un equilibrio globale. Il libro riporta le possibili soluzioni per arrivare ad un nuovo equilibrio globale sostenibile. Al cap. XIII del libro, Le chiese di fronte alla transizione dallo sviluppo all’equilibrio mondiale, Jay W. Forrester affronta il tema delle alternative etiche compatibili con il nuovo modello di sviluppo e la necessità che le chiese cristiane adeguino i propri principi allo sviluppo sostenibile proposto dal Club di Roma, data l’importanza che i codici religiosi hanno nelle società. Innanzi al presunto sviluppo esponenziale della popolazione mondiale, secondo l’autore o le chiese evolvono, adeguando i loro principi di lungo periodo alle presenti necessità del nuovo equilibrio globale e reinterpretando i principi biblici attraverso un simbolismo figurativo, o sono votate a sparire nell’inutilità(1). Di qui, l’unione delle due torri.
(1) “La civiltà umana si trova in una fase di transizione tra lo sviluppo esponenziale del passato e una qualche futura forma di equilibrio, la cui natura peraltro dipenderà dalle azioni intraprese nell’epoca presente. Queste azioni sono determinate dalla mutua influenza tra le forze sociali e il sistema di valori che condiziona le nostre reazioni alle pressioni insorgenti in tutto il mondo. Se le chiese dovranno esercitare un’influenza, sarà attraverso questo sistema di valori che opereranno”. (I limiti dello sviluppo. Verso un equilibrio globale, p. 411)
“La religione cristiana si è sviluppata nel contesto di una particolare dinamica del nostro sistema sociale: sulla superficie della terra la popolazione era scarsa, l’espansione geografica era ancora possibile, l’umanità era debole in confronto alle forze della natura e l’esplosione della scienza era ancora di là da venire. In tali condizioni, i valori del cristianesimo si accordavano efficacemente con la sopravvivenza e l’espansione sociale. In effetti, la religione cristiana è portatrice di un sistema di valori che esalta lo sviluppo: essa impegna l’uomo a dar prova di zelo missionario, e gli dà il diritto di signoreggiare sulla natura. I valori del cristianesimo vennero interpretati nel senso per cui diventava un dovere diffondere sulla faccia della terra il popolo eletto da Dio e la sua religione. I seguaci di questa religione sono stati portati a sentirsi responsabili del benessere degli altri uomini: il che si traduce nell’obbligo di proteggere gli altri da se stessi, dalle restrizioni di altre religioni maggiormente orientate verso l’equilibrio, dalle vicissitudini del rapporto uomo-natura. In breve, il cristianesimo è una religione di sviluppo esponenziale. Lo sviluppo esponenziale non può continuare indefinitamente: inevitabilmente si genereranno fortissime pressioni interne tendenti a bloccare la crescita”. (Idem, p. 422)
“È possibile riscontrare nel cristianesimo un adeguato grado di reattività che consenta di interpretarne e modificarne i principi? Si può trovare la maniera adatta a riformulare ed estendere i principi religiosi in risposta alle pressioni che insorgono quando tali principi manifestano la propria inadeguatezza? Esiste qualche procedimento in grado di anticipare i cambiamenti sociali in modo tale che la modificazione possa essere avviata prima che la divergenza tra vecchi valori e nuova realtà si sia approfondita al punto che la società respinge i principi stessi? A differenza della costituzione americana, la Bibbia non contiene alcun processo che preveda esplicitamente la revisione e l’aggiornamento, e non vi è la possibilità di introdurvi nuove vedute corrispondenti alle nuove modalità di comportamento emergenti nei nostri sistemi sociali. Senza questo processo di revisione, la discrepanza tra le vecchie dottrine e le condizioni moderne è stata evitata mediante una reinterpretazione degli antichi principi. Così, la società passa dall’adesione letterale delle parole al simbolismo figurativo, che è più flessibile e suscettibile di più ampie interpretazioni. Gli antichi valori vengono in parte respinti, ma in parte vengono reinterpretati e portati ad adeguarsi alle necessità del momento. Così, senza un adeguato sistema di valori durevoli, la società incomincia a vacillare”. (Idem, p. 423)
“Nell’insegnamento delle chiese spesso è implicito che il giusto va inteso in senso assoluto, senza concessioni al compromesso, indipendentemente dal futuro al quale si volge lo sguardo. Questo è un errore, giacché generalmente una linea d’azione che presenti prospettive favorevoli per una breve scadenza comporta conseguenze negative a lunga scadenza, e viceversa. Un’azione che sembra giusta al presente può dimostrarsi sbagliata ove se ne considerino anche le estreme conseguenze. Così le chiese, avendo fatta propria una concezione semplicistica del giusto e dell’etica, contribuiscono anch’esse al conflitto di obiettivi tra presente e futuro. Le chiese del mondo dovrebbero per prime rimettere in discussione il concetto di giusto e ingiusto in una dimensione temporale … Se le chiese devono veramente essere custodi di valori non effimeri, occorre che esse definiscano di nuovo ciò che è giusto in funzione di un durevole benessere futuro dell’umanità”. (Idem, p. 429)"