di Gianni Lannes
Più regime di così. Ha scritto Giorgio Napolitano il 23 giugno 2014: «Almirante ha avuto il merito di contrastare impulsi e comportamenti anti-parlamentari che tendevano periodicamente a emergere, dimostrando un convinto rispetto per le istituzioni repubblicane che in Parlamento si esprimeva attraverso uno stile oratorio efficace e privo di eccessi anche se spesso aspro nei toni. È stato espressione di una generazione di leader che hanno saputo confrontarsi mantenendo un reciproco rispetto a dimostrazione di un superiore senso dello Stato».
Secondo la storia documentata da riscontri probanti. Giorgio Almirante fu tra i firmatari nel 1938 del Manifesto della razza e dal 1938 al 1942 collaborò, inoltre, alla rivista La difesa della razza. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Giorgio Almirante fu arruolato, ed inviato a combattere nella Campagna del Nordafrica. Dopo l’8 settembre, Almirante aderì alla costituzione della Repubblica Sociale Italiana arruolandosi volontariamente nella Guardia Nazionale Repubblicana. Il 30 aprile 1944 Almirante fu nominato capo gabinetto del ministero della Cultura Popolare presieduto da Fernando Mezzasoma. Divenne poi tenente della brigata nera, dipendente sempre dal Minculpop occupandosi della lotta contro i partigiani, in Val d’Ossola e nel grossetano. Il 10 aprile 1944, apparve un manifesto firmato da Almirante in cui si decretava la pena della fucilazione per tutti i partigiani che non avessero deposto le armi e non si fossero prontamente arresi. Il 5 maggio 1958 al termine di un comizio a Trieste, Almirante è denunciato dalla Questura per «Vilipendio degli Organi Costituzionali dello Stato».