Marra: Al Parlamento Europeo circa la necessità di non legittimare le droghe ‘leggere’.
16.3.1995
Sono così angosciato all’idea che il Parlamento Europeo possa divenire lo strumento della legalizzazione delle droghe leggere nei ben quindici paesi dell’Unione, da non potermi esimere dall’esprimere la mia sia pur modesta opinione in merito.
Ci troviamo infatti di fronte a una scelta importantissima sia di per se stessa, e sia, soprattutto, perché influenzerà profondamente il costume europeo e mondiale.
Prima di addentrarsi nell’analisi è però necessario chiarire il concetto di droga leggera: aggettivo molto fuorviante.
Se è pur vero infatti che la droga pesante, per i suoi effetti atroci e devastanti, non può essere paragonata a quella che dunque – solo nell’ambito di questo paragone – viene qualificata leggera, non è men vero che anche la droga ‘leggera’ ha invece effetti che, notoriamente, leggeri non sono per nulla.
In ogni caso ciò che accomuna ogni gesto del drogarsi ‘leggermente’ o pesantemente – questo è il vero nocciolo della questione – è che esso costituisce comunque una grave, oltre che avvilentissima, testimonianza di abdicazione all’esercizio del pensiero responsabile in cambio dello schifo della felicità chimica.
Cosa che per molti versi turba più in chi si droga con le ‘leggere’ che con le pesanti, perché l’uso delle pesanti è tipico di spiriti che hanno generalmente perduto la battaglia con se stessi e si possono ormai salvare solo con l’aiuto degli altri.
I ‘fruitori’ delle leggere – che tanto si vantano della loro pretesa ‘non assuefazione’ – testimoniano invece, con il loro persistere nell’esercizio di quella avvilente abdicazione, un vizio esistenziale globale consistente nell’avere assunto, ma a livello cronico e grave, certe pulsioni e tendenze che hanno purtroppo influenzato la vita di questi decenni: la tendenza alla deresponsabilizzazione, alla fuga dalla realtà e alla negazione di sé che ne deriva.
Argomenti questi non applicabili all’alcool, sia perché l’uso dell’alcool si inquadra in una cultura densa di valenze umaniste anche positive, discorso inapplicabile alle droghe, e sia perché dell’alcool è deleterio l’abuso, mentre della droga è deleterio il semplice uso.
Cose tutte di fronte alle quali né si può né si deve far altro che cercare di organizzare ogni possibile forma di soccorso, ma che non si può consentire divengano una bandiera intorno alla quale possa stringersi un sempre più vasto esercito che fatalmente coinvolgerebbe nelle sue assuefazioni morali l’uomo in generale guidandolo addirittura politicamente, come accadrebbe se nel Parlamento Europeo vincesse una maggioranza favorevole alla ‘liberalizzazione’. Ma ciò premesso veniamo agli aspetti giuridici.
Posto sia vero che la droga ‘leggera’ non implichi assuefazioni (ma resterebbe allora da spiegare la causa della reiterazione del gesto pernicioso dell’assumerla), non ci sono margini di discussione circa il fatto che sia cospicuamente lesiva dell’individuo, ma soprattutto, ciò che più conta, altamente lesiva, per svariate ragioni, della società.
In ciò appunto sono i presupposti dell’antigiuridicità: un’antigiuridicità naturale che nemmeno l’Unione Europea potrebbe mai rovesciare con una sua eventuale, denegata ‘legalizzazione’.
Senonché, sostengono gli ‘antiproibizionisti’ (termine stupidamente tendenzioso rivolto a trarre un improprio vantaggio dall’antitesi tra la storicamente notoria cattiveria di chi proibisce, e l’altrettanto storicamente notorio eroismo di chi combatte contro le proibizioni), vietare l’uso della droga non servirebbe a farlo cessare, ma solo a garantire l’incremento del circuito criminale, che troverebbe il suo spazio vitale proprio nel fatto che la commercializzazione della droga sia illegale.
Un’affermazione questa innanzitutto stolta e giuridicamente incolta, perché ciò che è antigiuridico rimarrebbe tale anche quando a consentirlo non fosse più la mafia ma i farmacisti.
Ciò che è antigiuridico, cioè, va combattuto con strumenti adeguati, di cui peraltro la società dispone ampiamente, e non mediante forzate declaratorie di giuridicità, che non avrebbero altro effetto che omologare l’antigiuridicità consentendole di pervadere l’intera società e danneggiarla ‘civilmente’ e con l’ausilio delle istituzioni, piuttosto che nelle maniere cruente della delinquenzialità.
D’altra parte tutto ciò è così ovvio che le affermazioni ‘antiproibizionistiche’ non possono che mascherare anche molta falsità, perché la verità è che si tratta di affermazioni da ‘fruitori’ in varie maniere delle droghe ‘leggere’ che vogliono continuare a fruirne senza il fastidio di incorrere nella riprovazione sociale.
Occorre infatti non dimenticare che l’assunzione delle droghe così dette leggere è purtroppo una ‘consuetudine’ di massa: una consuetudine cioè che molti difendono per motivazioni o dirette, ad esempio di consumo, o indirette, ad esempio di consenso, perché ci sono forze politiche – forze della trasgressione senza costruzione e senza proposta – che trovano il loro spazio nello stesso habitat ‘ideologico’ in cui si sviluppa la cultura della droga, e che dunque la difendono come strumento per continuare a esistere.
Il che costituisce il vero motivo della difficoltà di combattere la delinquenzialità del settore: una delinquenzialità che, benché a tutti odiosa, gode tuttavia dei benefici che abilmente sa trarre dalla ‘cultura’ di un certo ‘consenso’ che riesce a trovare nella parte stolta di alcuni, perché escludo che costoro non si rendano conto, nel fondo delle loro coscienze, dell’anomalia delle loro posizioni.
Da queste tesi, dunque, propongo di desumere la strategia da applicare, che secondo me è quella di formalizzare una legge che mantenga fermissimo il giudizio di illegalità e di negatività dell’uso della droga ‘leggera’ o pesante che sia, ma vi reagisca solo in maniere che tengano conto della debolezza che manifesta chi a esse ceda e della corresponsabilità culturale di molti, e che comunque non siano di punizione, ma solo di affettuosa, civile e perseverante, ma anche intelligente e strategica, deliberatezza recuperatoria.
Augurandomi di aver contribuito utilmente al dibattito, invio a tutti i più cordiali saluti.
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