Quaranta senatori Pd contro il Jobs act (DOCUMENTO)
Jobs act, 40 senatori Pd firmano emendamenti della minoranza: "No modifiche art 18". Forza Italia determinante per il via libera
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"Oltre le più rosee aspettative". Quando lo zoccolo duro della minoranza del Partito democratico fa circolare fra i colleghi il testo degli emendamenti presentati sul Jobs act, i fogli che gli ritornano in mano sono pieni zeppi di firme. "Vanno dalle trenta alle quaranta", spiega Miguel Gotor.
Una cifra confermata da Maria Cecilia Guerra. L'ex sottosegretario dei governi Monti e Letta, è la prima firmataria dei sette aggiustamenti richiesti alla delega del lavoro, che Huffingtonpost è in grado di pubblicare. Modifiche che vanno dall'altolà alla sospensione dell'articolo 18, all'obbligo per l'esecutivo di emanare i decreti sulla riforma degli ammortizzatori sociali prima, o comunque contemporaneamente, a quelli che modificheranno le tipologie contrattuali. "Non si può tirare dritto su quel che non costa niente - commenta uno dei firmatari - e tirarla per le lunghe laddove le misure di riforma comportano oneri per le casse dello stato".
Nessuna novità sostanziale nel dibattito interno ai Democratici. Né si prospetta all'orizzonte un effetto ostruzionismo così come è stato per la riforma del Senato. Da Sel sono in arrivo circa 300 emendamenti, dal Movimento 5 stelle un centinaio ("Tutti sul merito - spiega Nunzia Catalfo - quel che ci interessa è modificare un testo improponibile, che non è una vera riforma ma un semplice abbassamento delle tutele esistenti"), Forza Italia ne presenterà qualcuno di meno, il Nuovo centrodestra nessuno, "per favorire l'approvazione rapida del testo". Siamo lontanissimi dalle oltre settemila modifiche - e il conseguente caos parlamentare - avanzate sulle riforme costituzionali.
Il problema, in questo caso, agli occhi di Palazzo Chigi è tuttavia più grave. Potendo contare su una dozzina scarsa di voti di maggioranza a Palazzo Madama, al governo basterebbe che la metà dei senatori dissidenti alzassero il semaforo rosso alla delega sul lavoro per andare sotto. Rendendo così necessari - al jobs act come anche alla sopravvivenza stessa del governo - il soccorso di Forza Italia. Uno scenario che non piace a Matteo Renzi, ancora meno alla minoranza interna, che nei giorni scorsi ha parlato di "conseguenze politiche" nel caso di maggioranze variabili.
La Guerra, la cui competenza sulla materia è ampiamente riconosciuta a Palazzo Madama, spiega che "l'obiettivo comune è quello di migliorare la delega, con un'ispirazione comune di tutti i firmatari ad un atteggiamento costruttivo". Parole serafiche, volte a non alzare il livello dello scontro.
Ma i sette emendamenti parlano da soli, e si descrivono come mine inaccettabili nell'impianto immaginato da Renzi e da Giuliano Poletti. "È sbagliata l'ipotesi che i nuovi assunti non arrivino mai a godere delle stesse tutele che ha chi ha già un contratto", spiega la Guerra. Niente modifica dell'articolo 18, dunque, come recita l'emendamento relativo: "Previsione che ai nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti le tutele del contratto a tempo indeterminato vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge siano riconosciute in relazione all’anzianità di servizio, con il pieno godimento delle stesse a partire dal quarto anno di assunzione". Dunque tre anni di apprendistato con tutele di tipo economico, poi entrata a regime dei paracaduti esistenti, inclusa la riassunzione in caso di licenziamento per giusta causa".
Cruciale anche il passaggio in cui si chiede l'emanazione dei decreti che riformeranno le tipologie di contratto "comunque non prima dell'emanazione dei decreti di cui all’articolo 1, comma 1, e all’articolo 2, comma 1". Un linguaggio tecnico che tradotto significa: prima le misure per rinforzare gli ammortizzatori sociali e rendere efficienti i centri per l'impiego, solo poi mettere mano ai contratti dei lavoratori.
L'ex sottosegretario spiega anche che "c'è la necessità di chiarire gli interventi che semplificano i contratti precari. Serve una drastica riduzione, ma nella delega di questo non si parla, si accenna semplicemente a una 'eventuale semplificazione'". "Inoltre - prosegue - si vuole ampliare il ricorso ai voucher, ma il rischio è che questa formula sostituisca in questo modo le forme di contratti precari odierni".
Insomma, solo sette emendamenti, ma che pesano come macigni. E che hanno riscosso tra gli uomini del Nazareno un tale consenso da poter mettere seriamente in difficoltà la maggioranza a Palazzo Madama. Anche per questo, Alfredo D'Attorre e Stefano Fassina hanno chiesto un incontro con la maggioranza renziana: "Si arrivi in direzione con un documento di sintesi, non si pensi chiedere un voto a maggioranza e, magari, utilizzare provvedimenti disciplinari per far valere la disciplina di partito". Altrimenti, il sottinteso, l'unico anello di congiunzione tra Renzi e il suo Jobs act rimarrà il soccorso azzurro. Con tutte le conseguenze politiche che ne deriverebbero.